Nella pancia dell’Agenzia delle entrate ci sono, miliardo già miliardo meno, qualcosa come 1.100 miliardi di euro di crediti non riscossi. Di questa cifra enorme si pensa – lo pensano anche quelli dell’Agenzia – che solo 110 miliardi siano realmente “esigibili”, ovvero che ci sia la reale possibilità di recuperarli.
Quasi 50 miliardi di quei 110 sono stati sono stati cancellati con le ultime rottamazioni. Si sta parlando quindi di qualcosa come una sessantina di miliardi di euro che rimangono sul piatto. I numeri – che hanno l’enorme pregio di non poter fare propaganda – ci dicono che il 70% dell’enorme mole di debito con lo Stato riguarda l’1,3% dei contribuenti (anzi, di quelli che avrebbero dovuto contribuire) più ricchi: persone che mediamente hanno debiti superiori ai 500 milioni di euro. Non proprio bruscolini. Sicuramente non piccole partite iva strozzate dal fisco, come si dice dalle parti del governo.
Rimanendo sui numeri osserviamo che per l’ultima rottamazione (chiusa il 30 giugno) 60 miliardi si sono ridotti a 40 per effetti del beneficio della rottamazione. Rimangono fuori quindi 20 miliardi che stavano nel bilancio dello Stato da qualche parte e che fisicamente non ci sono più. Le ultime rottamazioni tra l’altro sono andate molto lontane dal risultato previsto: di 45 miliardi programmati ne sono entrati 17. Conta anche l’aspetto psicologico, naturale reazione alla narrazione del governo: chi avrebbe dovuto rottamare e non ha rottamato sapeva – e non si sbagliava – che avrebbe avuto altre occasioni per farsi condonare i nuovo.
A questo aggiunge che gran parte del gettito fiscale italiano proviene dai dipendenti tassati alla fonte. A questo aggiungete la tradizionale pigrizia dello Stato a tassare i grandi profitti. Il risultato è semplice.
Buon venerdì.