Camorra, massoneria, pezzi deviati dello Stato e della cosiddetta buona società. C’è tutto questo dietro la realizzazione della discarica che, stando agli annunci dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi e dell’ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, sarebbe stata una delle principali mosse per uscire definitivamente dall’emergenza rifiuti in Campania.
Parliamo della discarica di Chiaiano, a nord di Napoli, uno sversatoio la cui apertura ha mobilitato migliaia di persone, attivisti, associazioni, famiglie. Dalle indagini condotte dai carabinieri del Noe di Napoli coordinati dai pm della dda Antonello Ardituro e Marco del Gaudio, emerge uno scenario che appare trasversale e che mette in fila clan, pubblica amministrazione, professionisti insospettabili e anche la massoneria. Dagli atti dell’indagine emergono filmati che mostriamo nella videoinchiesta, e che documentano come gli argini della discarica venissero realizzati utilizzando terreno e rifiuti e fossero quindi assolutamente inadatti a contenere il percolato. Camion prelevavano scarti e immondizia da cantieri stradali, li stoccavano in un area per poi trasferirli a Chiaiano. Volendo semplificare i rifiuti avrebbero dovuto contenere e arginare altri rifiuti.
L’assenza di argilla
«La nostra indagine – spiega il comandante del Noe Paolo di Napoli – ha messo in risalto il mancato utilizzo dell’argilla nella costruzione degli argini della discarica. L’argilla avrebbe garantito l’impermeabilizzazione della discarica. Miscelare il tutto con terreno e rifiuti significava minare la tenuta del percolato. L’attività degli indagati consentiva perciò un doppio guadagno: da un lato i rifiuti provenienti dai cantieri stradali non venivano sottoposti a trattamento e poi i rifiuti stessi venivano venduti alla pubblica amministrazione come terreno vegetale o materiale argilloso per fare gli argini della discarica. Da un lato abbiamo una truffa ai danni della pubblica amministrazione, dall’altra abbiamo delle false certificazioni fatte dagli stessi funzionari pubblici che avevano attestato la corretta esecuzione dei lavori».
I casalesi e gli insospettabili
Nell’inchiesta spuntano figure assolutamente insospettabili come un ufficiale di polizia giudiziaria della DIA, nominato anche consulente della commissione parlamentare sui rifiuti e un professionista consulente di molti magistrati della dda e paradossalmente, uno dei consulenti nell’indagine sulla discarica romana di Malagrotta insieme con il perito che si è occupato (questa volta da solo) di redigere una consulenza tecnica approfondita, scrupolosa e importante per le indagini proprio sulla discarica di Chiaiano. Al centro dell’inchiesta un imprenditore, Giuseppe Carandente Tartaglia e la sua società, la Edilcar. Secondo le indagini CarandenteTartaglia, originariamente legato a personaggi di vertice dei clan Nuvoletta, Mallardo e successivamente anche del Polverino, era riuscito ad intrecciare rapporti anche con la cosca casalese capeggiata da Michele e Pasquale Zagaria. Per quest’ultimo clan in particolare, Carandente Tartaglia prestava un rilevante contributo organizzativo come imprenditore operante nello strategico settore della gestione del ciclo legale ed illegale dei rifiuti, controllato dal clan dei casalesi e dalla famiglia Zagaria. In questo modo i casalesi potevano partecipare alle attività imprenditoriali del settore attraverso le sue aziende. E così proponeva ed acquisiva commesse ed appalti rivelandosi capace, anche attraverso i necessari contatti istituzionali, di affrontare e risolvere i momenti di emergenza succedutisi nel tempo in Campania.
«Complessa vicenda imprenditoriale e criminale»
Scrivono i pm Ardituro e Del Gaudio nella richiesta di misura cautelare: «Giuseppe Carandente Tartaglia, o se si vuole la sua azienda, la Edilcar hanno saputo governare la complessa vicenda imprenditoriale e criminale della quale è parte anche la realizzazione e la gestione della discarica di Chiaiano coordinando gli interventi pubblici e dell’imprenditoria privata per l’utile proprio e della criminalità organizzata». Per i magistrati gli imprenditori facenti capo alla famiglia Carandente Tartaglia ebbero di fatto un ruolo centrale nella costruzione della discarica di Chiaiano, individuata nel 2008 come sito necessario per tamponare la persistente emergenza rifiuti verificatasi nei mesi precedenti.
«La questione rifiuti: il tesoretto di parte della politica»
Eppure già nel 2008 un funzionario della prefettura Salvatore Carli, più volte negli anni intimidito per le sue battaglie anticamorra, aveva inviato una relazione sulle cointeressenze della criminalità organizzata nella Edilcar all’allora prefetto di Napoli Alessandro Pansa, anche se poi nel 2009, nel corso di una riunione del GIA (gruppo interforze antimafia del quale Carli faceva parte ma che in quella occasione non era presente) fu rilasciata una informativa antimafia liberatoria proprio a favore dell’impresa di Carandente Tartaglia. Per gli inquirenti, gli imprenditori Carandente Tartaglia sono stati nel tempo protagonisti di un rilevante intreccio di interessi che ha visto convergere le aspettative della criminalità organizzata e l’appetito di numerosi soggetti, anche istituzionali. La questione rifiuti in Campania – scrivono ancora i pm – è una vicenda «che si fa fatica a definire realmente dettata dall’emergenza a meno di non snaturare la nozione medesima del termine, poiché è evidente che non può essere qualificata tale una vicenda che ha impegnato gli ultimi vent’anni della vita istituzionale, non solo locale, e degli interessi dei cittadini. Resta il fatto che la questione rifiuti ha rappresentato il tesoretto, anche elettorale, di una parte della classe politica regionale, la cassaforte della camorra ed in particolare dei capi del clan dei casalesi, oltre che la fortuna di alcuni selezionati (dalla politica e dalla camorra) imprenditori del settore».
Le intercettazioni
Sconcertano alcune intercettazioni che sembrano evidenziare che i titolari della Edilcar sapessero con anticipo che avrebbero ottenuto l’appalto. Infatti, un componente della famiglia di imprenditori dei rifiuti, Mario Carandente Tartaglia viene intercettato mentre insiste con gli altri interessati affinché accettino l’esproprio dei terreni nella zona: «Vi sarà un guadagno economico per tutti e principalmente per la nostra ditta che prenderà l’appalto che le consentirà di lavorare per molti anni». Concetto che questa stessa persona ribadisce anche alla sorella Elena, detta Pupetta: «Pupè, bello chiaro chiaro… quello lo ha preso l’impresa nostra».
La massoneria
L’indagine parte dall’aspetto relativo ai collegamenti con la criminalità organizzata ma da qui si è aperto uno scenario ulteriore e inaspettato: collegamenti con soggetti appartenenti alla massoneria utilizzata sia per superare fasi di stallo dei pagamenti per lo stato di avanzamento dei lavori della discarica sia per poter ottenere altre commesse. Un pentito, Roberto Perrone, riferisce ai magistrati di essere in possesso di informazioni su Carandente Tartaglia e sui suoi rapporti con i Polverino, anticipando anche i rapporti istituzionali e di natura massonica. Si tratta di componenti della loggia della Losanna, una delle più antiche fra le 20 logge del Grande Oriente d’Italia. La affiliazione a questa loggia secondo gli inquirenti, giustifica una fittissima rete di conoscenze distribuite a diversi livelli nei settori e apparati della vita pubblica, fra soggetti legati strettamente al dovere di obbedienza ed al vincolo della fratellanza. Uno dei personaggi frequentati da Carandente Tartaglia, ricopriva nella Losanna, la carica di secondo sorvegliante, figura che insieme con il primo sorvegliante e il “maestro venerabile” compone il “consiglio delle tre luci”, una sorta di organo direttivo della Loggia. Non è la prima volta che la massoneria entra in una indagine su camorra e rifiuti: infatti in passato erano emersi rapporti tra Gaetano Cerci e Cipriano Chianese, imprenditori ritenuti fedelissimi del boss casalese Francesco Bidognetti e Licio Gelli. Il contatto serviva a garantire il trasporto e l’interramento di rifiuti tossici provenienti dalle industrie del centro-nord Italia in provincia di Caserta, attraverso l’impresa Ecologia 89.
L’amarezza degli attivisti
Questi intrecci di malaffare e queste storie di ormai abituale scempio ambientale lasciano una ferita aperta tra gli attivisti napoletani: «Noi eravamo visti come i criminali – spiega Palma Fioretti, attivista della Rete Commons – come le donne della camorra che venivano schierate dagli uomini a protezione loro. Bertolaso disse che la discarica di Chiaiano sarebbe stata un esempio virtuoso per tutta l’Europa, uno degli impianti più efficienti. Molti di noi sono stati indagati per le nostra attività contro la discarica. Eravamo visti come i trogloditi che non capivano che questa era una risoluzione definitiva al problema dei rifiuti in Campania».
(corriere.it, 26 agosto 2014)