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Il neo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, calatosi subito nel ruolo del mangia migranti per compiacere il governo, rilascia un’intervista al Corriere della Sera in cui dice sostanzialmente: queste quattro navi battono bandiera norvegese e tedesca quindi sono quei Paesi che dovrebbero “farsi carico dell’accoglienza” dei migranti soccorsi, poiché questi ultimi hanno “messo piede per la prima volta” proprio in quei Paesi, salendo sulle rispettive navi.
Il Trattato di Dublino non si applica a bordo ma al Paese di sbarco. La linea di Piantedosi smentita anche dalla Corte europea
Il Trattato di Dublino non si applica a bordo ma al Paese di sbarco. La linea del Viminale smentita anche dalla Corte europea. Il Trattato di Dublino non si applica a bordo ma al Paese di sbarco. La linea del Viminale smentita anche dalla Corte europea
Matteo Salvini sgrana gli occhi. Il ragionamento fila, funziona ed è uno spot perfetto per diventare slogan sui suoi social. Quindi rilancia: “Dove dovrebbe andare una nave norvegese? Semplice, in Norvegia”. Applausi, sorrisi e pacche sulle spalle. Che bravi che siamo, si dicono. Il ragionamento è sbagliato e falso.
“Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi, il caso Hirsi lo dimostra, unità governative che non hanno personale specializzato a bordo per poter fare lo screening non possono essere considerate la frontiera d’ingresso per l’applicazione della Convenzione di Dublino”, spiegava in audizione parlamentare già nel 2017 il contrammiraglio della Guardia costiera italiana Nicola Carlone.
Ci sarebbe anche una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risalente al 2012. Solo che quella sentenza condannò l’Italia dell’ultimo governo Berlusconi per i respingimenti in mare e quindi è stata dimenticata in fretta. Vi si legge chiaramente che è impossibile esaminare la situazione dei migranti a bordo delle navi prima dello sbarco.
Le norme sul soccorso marittimo sono chiare: gli sbarchi devono avvenire nel primo “porto sicuro” disponibile. E per “primo porto sicuro” si intende un luogo in cui venga garantito il rispetto dei diritti umani (quindi no, la Libia non è un porto sicuro) e il più vicino dal punto di vista geografico. Come ribadito anche dall’ambasciata norvegese in una nota diffusa dalla trasmissione Il Cavallo e la torre: “La responsabilità primaria nel coordinamento dei lavori per garantire un porto sicuro alle persone in difficoltà in mare è di competenza dello stato responsabile dell’area di ricerca e di salvataggio in cui è stata prestata tale assistenza. Anche gli Stati costieri confinanti hanno una responsabilità in tali questioni. La Norvegia non ha alcuna responsabilità ai sensi delle convenzioni sui diritti umani o del diritto del mare per le persone imbarcate a bordo di navi private battenti bandiera norvegese nel Mediterraneo”.
Come fa notare la giurista Vitalba Azzollini “il ministro Piantedosi e gli altri firmatari del decreto pensano che per evitare l’accusa di respingimento, vietato dall’art. 33 Convenzione di Ginevra (e non solo), basti l’eufemismo “assicurare l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali”? Il concetto è uguale”.
“Oltre il danno, la beffa. Persone rimandate in mezzo al mare, senza assistenza di traduttori, mediatori culturali, legali che spieghino loro come difendersi da questo respingimento, come possono fare ricorso al Tar? Una presa in giro. Svuotare il diritto di difesa: ecco fatto”, spiega Azzollini. Le leggi non si piegano alla propaganda. Anche se sei il ministro preferito di Salvini.
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