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Ci sei arrivata viva, Michela

Questo non è un coccodrillo per Michela Murgia, che i coccodrilli vanno scritti sapendolo fare e non invidio coloro che oggi per mestiere dovranno comprimere in un pezzo così tante vite. Dieci ne conta lei. Non è il racconto di un episodio condiviso, con una foto ripescata.

È il lamento per l’ipocrisia, da cui Michela Murgia rifuggiva ben prima della malattia. Diceva che il cancro rende liberi, ci ha invitato a essere liberi anche senza cancro ma lei libera lo è stata sempre.

L’ipocrisia di quelli che “Michela Murgia si fa scrivere i libri, ho un amico che conosce il suo autore fantasma in Einaudi”. L’ipocrisia di quelli che “Michela Murgia non è più una scrittrice, ha scelto di fare l’influencer”. Quelli che “Michela Murgia vede fascismo dappertutto per vendere più libri”. Quelli che “eccola che infine si candida per sistemarsi su una poltrona”. Quelli che “Michela Murgia crede di potersi inventare famiglie che non esistono per legge e per natura”. Quelli che “Michela Murgia non ha nemmeno l’eleganza di essere malata con un po’ di riservatezza”.

L’ipocrisia di quelli che “io posso essere anche d’accordo con lei ma sbaglia i modi”. Quelli che “la politica non andrebbe fatta dagli scrittori”, quelli che “Michela Murgia vuole morire da screanzata”, quelli che “è illeggibile”, quelli che “è inascoltabile”, quelli che “è inguardabile”, quelli che “io non capisco perché dobbiamo leggere sempre quello che pensa  questa”, quelli che “non si capisce chi sta con chi e chi è figlio di chi”, quelli che “la letteratura è un’altra cosa”, “la politica è un’altra cosa”, “l’antifascismo è un’altra cosa”.

Quelli oggi stanno sfogliando i sinonimi e i contrari per redigere un comunicato luttuoso. E scopriranno di non avere il vocabolario. Ci sei arrivata viva, Michela.

Buon venerdì.

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