(l’articolo originale è qui)
Attore, scrittore, regista, politico: per Giulio Cavalli non si tratta di quattro carriere distinte, ma degli aspetti coordinati di un’unica attività coerente, tesa a mantenere viva l’informazione e la coscienza critica sui fenomeni criminali del nostro Paese. Ne è un esempio L’innocenza di Giulio, una disamina del processo a Giulio Andreotti che ha assunto sia la forma del libro-inchiesta, sia quella di spettacolo teatrale. Eletto due volte consigliere regionale in Lombardia, la prima volta con IdV e la seconda con SEL, dal 2009 vive sotto scorta a causa delle minacce ricevute da mafiosi a causa dei suoi spettacoli, ma rifiuta ogni mitizzazione: in una recente intervista a Radio Diciannove ha dichiarato: «Tra la vita sotto scorta e una cartella di Equitalia, mi deprime ancora di più la seconda». Il suo nuovo spettacolo, ironicamente intitolato L’amico degli eroi, è incentrato sulla figura di Marcello Dell’Utri, il dirigente Fininvest e senatore di Forza Italia recentemente condannato per mafia in via definitiva. La produzione avviene interamente attraverso la formula del crowdfunding, cioè con una raccolta fondi anticipata attraverso la Rete.
Perché uno spettacolo su Marcello Dell’Utri?
Diceva Mark Twain che non bisogna aver paura di ciò che non conosciamo, bensì di ciò che riteniamo vero e invece non lo è. Ed io ho il terrore che qualcuno si sia convinto che i veri boss, quelli che hanno tirato le fila della criminalità organizzata in Italia, siano stati due subnormali come Riina e Provenzano, e si dimentichi di porsi le domande giuste su chi ne siano state le vere menti dal 1992 a oggi. C’è un processo in corso, e in un Paese normale a fianco del processo indiziario ci deve essere anche un processo sociale e culturale. È a quest’ultimo che vorremmo dare un po’ di spinta.
Come e quando è nato L’amico degli eroi?
In realtà è nato già quando scrivevo L’innocenza di Giulio. La riflessione che feci allora con Caselli e Lucarelli è che se l’andreottismo è riuscito a rinascere come un’araba fenice evidentemente lo ha fatto attraverso il dellutrismo. I risultati giudiziari sono stati poi estremamente diversi: nel caso di Andreotti si è riusciti a far rientrare tutto sotto un’innocenza mai verificata, mentre con Dell’Utri è stata inevitabile la condanna. A me la figura di Dell’Utri interessava particolarmente, perché è il tipico siciliano che è diventato molto “lombardo”, cioè è riuscito ad abbinare la peggiore sicilianità, la conoscenza degli ambienti mafiosi, con l’imprenditorialità “turbo” (turbo anche dal punto di vista etico) della peggiore Lombardia.
Stai dicendo che Dell’Utri è stato l’avanguardia dell’ascesa della Mafia al nord?
Io penso che la Storia ci dica che Dell’Utri sia stato il primo a far sognare alla Mafia, a Cosa Nostra, di poter avere interlocutori altissimi e un ruolo da protagonista all’interno della politica italiana. Si è passati dalla Mafia gregaria, talvolta utile idiota, di Giulio Andreotti, alla Mafia protagonista delle decisioni politiche di questo Paese.
Il tuo spettacolo è finanziato attraverso il crowdfunding. È stata una scelta derivata dalla volontà di evitare condizionamenti, o un obbligo dovuto all’impossibilità di produrlo in altro modo?
Per la verità non abbiamo mai neppure provato a finanziare lo spettacolo in modo tradizionale. So che sarebbe molto “epico” raccontare di avere ricevuto dei no, ma non abbiamo mai neppure posto la domanda. Anche se da noi sono ancora sperimentali, teniamo presente che in Europa le produzioni in crowdfunding sono ormai una realtà consolidata, direi quasi abituale, sia per la letteratura che per il teatro. E ricordiamoci che ci troviamo in un Paese in cui a decidere le sorti produttive di uno spettacolo sono politici la cui cultura teatrale è pressoché inesistente. Ti confesso che, dopo essermi dovuto confrontare con piccoli assessori molto più che, come sarebbe normale, con i miei referenti, che dovrebbero essere i miei spettatori e i miei lettori, mi sono detto: visto che il mio pubblico mi ha sempre dimostrato fiducia, facciamolo diventare protagonista. Questo serve anche a responsabilizzarlo: in Italia si parla tantissimo, spesso anche esagerando, di come l’informazione sia controllata, asservita; ma poi, quando c’è la possibilità di partecipare a un meccanismo di autonomia, tutti si tirano indietro.
Credi che il crowdfunding possa essere praticato anche da spettacoli meno politici del tuo, e quindi senza una componente di militanza?
Io credo si sì. Anzi, mi auguro che in Italia si riscopra presto la “militanza del bello”, che è stata ciò che nei secoli scorsi ha reso grande questo Paese nel campo della cultura, dell’arte e anche del teatro. Una militanza così sarebbe proprio utile, e tra l’altro politicamente trasversale. È vero che ora come ora il crowdfunding è un metodo di finanziamento che viene associato soprattutto alle startup, il feticcio di questi ultimi anni. Ma sono convinto che sia proponibile anche per il teatro, e per spettacoli, per così dire, “più teatrali” dei miei. Non credo che solo il teatro civile abbia questo onore e onere, una partecipazione al Bello troverebbe adepti anche in questo Paese. Del resto ci sono esempi di spettacoli partiti con previsioni di pubblico bassissime che si sono rivelati grandi sorprese, il che dimostra che chi tiene in mano i fili della produzione teatrale nazionale spesso si è dimostrato strabico, o perlomeno miope. La nascita di spettacoli indipendenti potrebbe anche far rinascere una critica più popolare, che non sia il risultato della masturbazione di un circolino di quattro o cinque “monopolisti alla critica” che la sottraggono agli altri.
La cifra che ti sei posto come obiettivo per il crowdfunding non è ancora stata raggiunta. Lo spettacolo andrà in scena comunque?
Andrà in scena comunque. Tieni conto che abbiamo avuto un’antipatica sorpresa, e c’è un’indagine in corso : la raccolta fondi era stata sospesa perché si era presentato un coproduttore che poi si è rivelato fasullo. Ma sono assolutamente convinto che riusciremo a raggiungere la cifra in tempi brevissimi.
Si è trattato di un’operazione di boicottaggio, di una truffa o di cos’altro? Non lo so. Sicuramente la persona in questione aveva precedenti penali anche per truffa, e amicizie vicine ad ambienti ndranghetisti. Se è stata una coincidenza, è stata mitologica, fantascientifica. Se non lo è stata, se ne occuperanno le forze dell’ordine.
In questi giorni Sky ha trasmesso le prime puntate di 1992, una serie televisiva in cui Marcello Dell’Utri è uno dei personaggi. Le hai viste?
Sì. Noi però con questo spettacolo abbiamo voluto fare una cosa molto diversa. Non abbiamo voluto fare una ricostruzione storica, perché volevamo evitare di fare a Marcello Dell’Utri il piacere di essere considerato già Storia. Io vorrei che fosse considerato presente, un pericolo contemporaneo e tuttora inquinante. Ritengo che i dellutrismi siano vivi e vegeti. Nella stessa città di Milano l’eventualità di un percorso teatrale sulla disumanità di Dell’Utri è stata accolta in alcuni ambienti culturali con un po’ di spavento. Quindi non stiamo parlando di un personaggio che andando in galera è stato del tutto archiviato. Più che parlare di chi, cosa e quando (del resto gli atti giudiziari sono già un compendio perfetto per chi vuole istruirsi su questo), a noi interessa descrivere dal punto di vista culturale il palermitano arrampicatore sociale che, grazie all’aiuto del brianzolo egocentrico, riesce a diventare padrone di alcuni gangli vitali di questo Paese. Mi spaventa che la cultura, che l’approccio alla vita e all’etica di Dell’Utri sia preso ad esempio. E mi spaventa il fatto che le uniche persone cui abbiamo concesso di fare battute infime su vittime di mafia siano state prima Andreotti e poi, non so perché, Dell’Utri.
Come è organizzato lo spettacolo?
In diversi quadri in cui Dell’Utri parla in prima persona, tranne un paio di scene che sono dedicate alla presentazione di Vittorio, cioè Mangano, e di Silvio, cioè Berlusconi. Lo spettacolo è molto più vicino alla formula della giullarata rispetto a L’Innocenza di Giulio, lo trovo più vicino a miei inizi. C’è una sorta di gramelot, anche se molto moderno. E abbiamo voluto che ci fosse dietro un bel digrignar di denti, una risata che spesso rimane soffocata dalla tragicità, mentre qui abbiamo voluto tenere lo spettacolo più votato al sorriso.
La formula dello spettacolo prevede anche rappresentazioni a richiesta…
Sì. Ho la fortuna di avere un mio circuito molto poco teatrale, che di solito nasce dalla riunione di tre o quattro persone che nel loro paese si dicono: “Perché non invitiamo Cavalli e non proviamo a riaprire il dibattito su questo argomento?”. È stato così per tutti i miei spettacoli, e probabilmente lo sarà anche per questo. Il che da un lato è rischiosissimo, perché si può finire a predicare ai convertiti, a godere tutti insieme di come siamo bravi a denunciare e a sapere. È un rischio da cui cerco di ripararmi, perché mi fa paura diventare autistico dal punto di vista teatrale. D’altra parte, però, è vero che questo mi consente una libertà di manovra che altri non avrebbero. È inutile nascondersi che, quando in questo Paese si parla di teatri, anche di teatri stabili, le paturnie dell’assessore di turno diventano sempre di importanza vitale, come se fossero le più ficcanti osservazioni culturali del momento.
C’è un pubblico minimo per una tua rappresentazione?
No, la nostra idea è sempre stata quella di andare ovunque ci chiamino. Fortunatamente non abbiamo mai avuto problemi di pubblico. Tieni conto però, e ne vado molto fiero, che mi esibisco allo stesso prezzo con cui mi esibivo dieci anni fa. Non amo la nomea di “teatro civile”, ma per chi come me opera in modo che il teatro non sia solo un prodotto culturale, ma anche una concezione morale, lo spettacolo nel minuscolo oratorio del piccolo paese ha la stessa importanza di quello che ti fa recensire sui quotidiani nazionali.
(per contribuire alla produzione dello spettacolo basta andare qui)