Quando mancano le idee o come in questo caso le giustificazioni si finisce per appiccare il linguaggio. Fanno così gli attori che hanno poca tecnica e cercano di salvarsi con l’urlo qua e là, fanno così gli scrittori che invertono le parole dei luoghi comuni per sembrare rassicuranti e invece gli mancano le parole e fanno così anche i nostri politici quando hanno raschiato il fondo dei valori, dei princìpi e delle idee e quindi cadono nelle provocazioni linguistiche. L’iperbole è la difesa del colpevole, spesso spessissimo, soprattutto se usata mica con satira ma come tentativo di giustificarsi. Dietro la frase “i miei figli come gli ebrei sotto Hitler” c’è tutto il luogocomunismo di un pacchista che convince l’anziana al mercato e ha bisogno di toccare le corde più facili e banali per suonare la propria innocenza: roba da avanspettacolo, da libretto di qualche euro.
C’è una colpa in più, però, nelle parole del pessimo Berlusconi in questa frase: l’iperbole esce appuntita ma schiaccia le sensibilità e la storia come ha sempre fatto negli ultimi anni quando ha colpito la giustizia per affondare questo o quel magistrato, quando ha fomentato uno scontro di classe (e di razze) per raccattare qualche voto e quando ha minimizzato la mafia calpestandone le vittime per apparire rassicurante. Parlare di Hitler e ebrei con questa faciloneria riporta a qualche decennio fa cancellando quintali di confronti e discussioni sul tema dell’ecologia lessicale su un dolore così grande.
Ogni volta che Berlusconi si difende con un’iperbole un pezzo di pensiero muore in qualche angolo del mondo. Come i marinai con le candele, ma qui il sangue e i morti sono veri davvero.