Lucia Annunziata in un suo editoriale su La Stampa di ieri l’ha scritto chiaro. “Chi vincerà il congresso del PD? Elementare Watson: Matteo Renzi”, scrive Annunziata che fa notare nel suo pezzo come Stefano Bonaccini, Dario Nardella, Matteo Ricci e Paola De Micheli siano, in un modo o nell’altro, stati vicini a Matteo Renzi.
Non è una colpa, ma i nomi in corsa per la segreteria del Pd, da Bonaccini a Nardella, da Ricci a De Micheli, in un modo o nell’altro, sono da sempre vicini a Renzi
Ha ragione Annunziata a specificare che essere stati vicini a Renzi non è e non può essere una colpa. Però è un fatto. Che ora tutti fingano di non saperlo rende il quadro generale ancora più paradossale. Negare di essere stati convintamente renziani del resto significa non doversi assumere la responsabilità di formulare un giudizio su quel momento politico e sulle iniziativa politiche di Renzi, dal Jobs Act allo Sblocca Italia fino alla gestione del partito e poi alla modalità della sua separazione.
Il PD non ha mai elaborato il renzismo e sembra non avere nessuna voglia di farlo. Lo spiegava bene ieri Chiara Geloni: “Nel gesto delle dimissioni di Zingaretti, nelle sue reticenti e contraddittorie e mai analizzate motivazioni, nel modo in cui è stato sostituito da Letta, richiamato e votato all’unanimità come (quasi) all’unanimità era stato cacciato da palazzo su richiesta di chi lo definiva un incapace, così come oggi nelle grottesche affermazioni degli ex vice, delfini, capi territoriali di Renzi secondo cui “nel Pd non ci sono renziani” c’è tutta l’incapacità del Pd di guardarsi allo specchio e fare un bilancio di questi anni.
Non solo Renzi è ancora il capo e molti ancora, all’occorrenza, gli obbediscono, come è riscontrabile di continuo. Ma sono intatte le ragioni per cui gli si sono completamente e acriticamente affidati, e probabilmente lo rifarebbero. – scrive Geloni – Sono gli stessi, magari più educati, gli slogan: largo ai sindaci e ai “territori”, “una nuova classe dirigente di amministratori”, il senso di autosufficienza “maggioritaria”, la retorica del “siamo gli unici davvero democratici”. È per questo non detto che chi non è stato renziano e si e limitato a convivere col renzismo oggi non riesce a esprimere una candidatura e un progetto non renziano per il Pd”.
Ieri Elly Schlein, piaccia o no, durante la presentazione della sua candidatura a segretaria del Partito Democratico ha detto: “Renzi, che dice di averci portato in Parlamento, dico di non dimenticare che per quanto mi riguarda a portami in Parlamento furono 50mila preferenze. Renzi ha il merito di aver spinto me e tanti altri fuori dal Pd con una gestione arrogante. Ha ridotto il Pd in macerie e poi se n’è andato”.
Pensate a un altro qualsiasi candidato che possa prendere le distanze dal renzismo in questo modo, senza rischiare di essere zittito aprendo un cassetto qualsiasi di quel tempo. E l’aspetto più incredibile è che i renziani (da Guerini a Marcucci a Lotti a un bel pezzo di Base riformista) non hanno nemmeno il coraggio di dichiararlo apertamente. L’assessore di Milano Pierfrancesco Maran, che non appartiene a nessuna corrente, ha dichiarato apertamente di considerare il periodo di Renzi alla guida del PD un’ottima parentesi politica.
L’ha fatto senza nascondenti e tattiche. Così come in modo molto trasparente ha detto che pur non condividendo le idee di Elly Schlein segue con curiosità la sua candidatura ed è convinto che sia un arricchimento. Un congresso normale che non fosse una guerra tra bande andrebbe fatto così. Nei giorni scorsi Giorgio Gori, invece, ha detto che nel caso in cui Elly Schlein diventasse segretaria lui se ne andrebbe dal partito. Tanto per notare le differenze.
Se le parole avessero un senso un rinnovamento della classe dirigente del PD dovrebbe portare inevitabilmente a un confronto (confronto, non uno scontro) tra i Maran e gli Schlein (e i tanti come loro) che non hanno nessun credito aperto con nessuno dei maggiorenti del partito. Così sarebbe un nuovo PD. Solo così. Altrimenti continua a essere una non interessante rivincita tra sconfitti.
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