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Consumare suolo e poi frignare

Per avere un’idea del disastro basterebbe leggere i rapporti dell’Ispra che “proditoriamente” tutti gli anni ci avvisa con un corposo studio. Solo che quel rapporto finisce nelle newsletter degli appassionati ma non interferisce mai nell’attività legislativa e amministrativa, come se fosse un abituale urlo nel deserto che finanziamo per essere a posto con la coscienza.

Nell’ultimo rapporto sul 2022 a pagina 215 c’è l’elenco delle urbanizzazioni fatte nelle aree più pericolose d’Italia dove è matematico che accadrà qualcosa e dove ci saranno vittime. Si legge che l’Italia continua a consumare suolo a un «ritmo non sostenibile» e nel 2021 è tornata a farlo a «velocità elevate», invertendo il trend di riduzione degli ultimi anni, nonostante pandemia e crisi climatica. Lo scorso anno le nuove coperture artificiali hanno infatti interessato 69,1 chilometri quadrati, cioè in media 19 ettari al giorno: si tratta del valore più alto degli ultimi 10 anni.

Nell’ultimo anno abbiamo perso 2,2 metri quadrati di suolo al secondo, «causando la scomparsa irreversibile di aree naturali e agricole» per far posto a nuovi edifici, infrastrutture, poli commerciali, produttivi e di servizio. Per non parlare della «crescente pressione dovuta alla richiesta di spazi sempre più ampi per la logistica». Non c’è una ragione demografica dietro a questi processi di urbanizzazione: la popolazione residente è calata ma non il consumo di suolo, arrivato alla quota pro-capite (impressionante) di 363 metri quadrati per abitante nel 2021 (erano 349 nel 2012).

Questo incontrastato processo di degrado del territorio è reso possibile, come ricordano i curatori del Snpa, dall’«assenza di interventi normativi efficaci» e dalla mancanza di un «quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale». Le conseguenze ambientali sono note: armi spuntate contro desertificazione, siccità e dissesto idrogeologico, città meno sicure e meno resilienti, perdita di produttività agricola e di carbonio organico nello strato superficiale del suolo, cancellazione di habitat naturali, mancata ricarica delle falde acquifere, erosione e frammentazione del territorio. Per un devastante conto economico legato alla perdita dei servizi ecosistemici del suolo stimato in almeno otto miliardi di euro l’anno – se si considera il consumo di suolo degli ultimi 15 anni (2006-2021)-. Perdite «che potrebbero incidere in maniera significativa sulle possibilità di ripresa del nostro Paese».

E andrà sempre peggio. Una valutazione degli scenari di trasformazione del territorio italiano, nel caso in cui la velocità di trasformazione dovesse confermarsi pari a quella attuale anche nei prossimi anni, porta a stimare il nuovo consumo di suolo in 1.836 km2 tra il 2021 e il 2050. Se invece si dovesse tornare alla velocità media registrata nel periodo 2006-2012, si supererebbero i 3.000 km2. Nel caso in cui si attuasse una progressiva riduzione della velocità di trasformazione, ipotizzata nel 15% ogni triennio, si avrebbe un incremento delle aree artificiali di oltre 800 km2, prima dell’azzeramento al 2050. Sono tutti valori molto lontani dagli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 che, sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo. Ciò significa che, a partire dal 2030, la “sostenibilità” dello sviluppo richiederebbe un aumento netto delle aree naturali di 269 km2 o addirittura di 888 km2 che andrebbero recuperati nel caso in cui si volesse anticipare tale obiettivo a partire da subito.

Come scrive Paolo Pileri: «Il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina appena otto miliardi di euro in sei anni per il dissesto idrogeologico (3,5%) a cui si aggiungono sette miliardi per varie azioni di monitoraggio (semplifico). Le decisioni urbanistiche continuano a essere fuori controllo: troppa frammentazione amministrativa, troppi interessi finanziari dei Comuni (che incassano oneri di urbanizzazione, contributi, multe, etc.), troppe leggi che mancano e non vengono chieste (non abbiamo una legge contro il consumo di suolo, non abbiamo una norma per togliere le previsioni urbanizzative, etc.), troppe rendite e troppi interessi che fanno gola a proprietari e investitori disposti a tutto, spesso, pur di costruire e incassare; troppa prepotenza di chi vuole farsi la villa sul suo terreno a tutti i costi; troppa accondiscendenza politica verso gli interessi dei più ricchi e dei più forti che ricattano le amministrazioni in vario modo; troppe teste che si girano dall’altra parte facendo finta di non vedere fin quando non capita il fattaccio: troppi compromessi».

Aspettando la prossima Casamicciola.

Buon martedì.

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