Si può essere d’accordo o meno con lui ma Claudio Fava non usa giri di parole. E il suo commento (che mi era sfuggito) merita una valutazione:
Quello che ci insegna il sacco di Roma
Se avete letto del sacco di Roma, avrete capito perché non sono entrato nel PD. E perché sono uscito da SEL.
Sul Partito Democratico, su quel suo personale politico tenuto a busta paga dal fascista mafioso Carminati, non ho molto da aggiungere. Aggiungo invece sulla reazione di Renzi, “…fa schifo!”, che andrebbe bene in una chiacchierata tra amici alla bocciofila ma non a Palazzo Chigi. Dal capo del governo mi sarei aspettato non una generica (e ruffiana) invettiva contro la politica corrotta ma un’agenda di lavoro per redimerla, per restituirle autonomia e dignità, per evitare la liturgia dello stupore quando i giudici (a Milano, a Roma, a Venezia) puntano il dito e il codice contro quello che tutti sapevano o intuivano. Avrei preferito che il segretario del PD spiegasse al suo partito quanto sia stato indecente, nel giorno in cui la Procura di Roma svelava l’assalto mafioso alla capitale, plaudire ipocritamente quei giudici e intanto negare al Senato la possibilità di utilizzare processualmente le intercettazioni a carico di due parlamentari democratici inquisiti. Mi sarei aspettato che Renzi commentasse l’inchiesta romana impegnando il suo esecutivo a mandare avanti quei punti di riforma sulla giustizia (prescrizione, falso in bilancio…) che la maggioranza ha depositato su un binario morto. Insomma, mi sarei atteso meno punti esclamativi e più verità. Per cui, resto fuori. Fuori da un PD che misura i rapporti di forza interni sul peso delle tessere, che avrebbe voluto il rimpasto della giunta Marino per piazzarci due nuovi assessori oggi finiti in galera, che voltava lo sguardo altrove mentre le seconde e le terze file del partito romano vendevano la città a una banda di fascisti, di mafiosi e di speculatori in cambio di una manciata di denari.
Sono uscito da SEL per motivi politici assai diversi ma per un comune sentimento di rimozione che PD e SEL ormai condividono. Penso al tenace, umiliante silenzio con cui gli alti dirigenti del mio vecchio partito hanno accompagnato le cronache di questi giorni. Non una parola preoccupata di Vendola sul fatto che tra gli amministratori distratti di Roma ci fossero anche quadri del suo partito. Non un accenno di autocritica rispetto alle ombre che attraversano le carte di questa inchiesta. Non un pensiero chiaro, netto, forte sui silenzi di SEL che questa città l’ha amministrata assieme e accanto al PD. Per un partito nato sull’esigenza di rimettere la questione morale al centro della propria missione (era scritto così nell’atto costitutivo che io firmai cinque anni fa) questa improvvisa timidezza, questo garbatissimo silenzio sono un segno desolante. In altri tempi, il gruppo dirigente di SEL avrebbe lanciato una campagna politica sul sacco di Roma prendendosi giorno per giorno le piazze, reclamando fino in fondo chiarezza e verità, analizzando senza sconti con nomi e cognomi il sistema di potere politico mafioso romano (che purtroppo, dicono le carte dell’inchiesta, non era una metastasi circoscritta solo alla destra). Adesso, invece, poco o nulla. Come se questa vicenda non rappresentasse per tutti una tragedia democratica, il segno di una deriva drammatica, di una politica stracciona e serva, di una pubblica amministrazione ridotta a bottino di guerra per bande e cosche mafiose.
Eppure è proprio su questo punto, sulla priorità di una questione morale non più delegata ai tribunali, che oggi a sinistra si apre uno sterminato spazio politico. Volerlo ignorare per privati pudori o per pubbliche convenienze non è solo un peccato: è una fuga. Per questo non riesco a ritrovarmi nelle forze politiche della sinistra italiana, per come sono oggi. Ma non rinuncio a credere che il dovere di ritessere – qui, a sinistra – una tela, proprio a partire dall’autonomia della politica, appartenga a tutti noi, nessuno escluso.
Posted by Claudio Fava on Lunedì 8 dicembre 2014