Beh abbiamo lanciato l’appello e si è aperto un dibattito. In rete ognuno aggiunge, toglie, modifica e critica i punti della Cosa Seria che secondo noi dovremmo prenderci la briga di fare. E ora cercheremo di ragionare su tutto quello che ci è stato detto, proposto e stroncato. Ma la frase sfiduciata che mi colpisce di più è quel “e poi?” che in molti mi hanno scritto: innanzitutto perché dà il senso della disperazione nell’effetiva possibilità di cambiamento e in più perché disegna un’abitudine a credere che il distacco con i dirigenti non sia sanabile.
E allora provo a rispondere a quel e poi? con qualche osservazione. Sappiamo bene che i punti proposti sono da approfondire e molto perfettibili ma almeno vogliamo esercitare il diritto di fissare dei punti sulle mediazioni potabili e su ciò che rischi di essere un compromesso. Nell’articolo per L’Espresso di Silvia Cerami le strade cominciano a prendere forma e così succede che Claudio Fava (toh, un dirigente, appunto) dica riferendosi alla propria candidatura in Sicilia «Sono candidato con una coalizione che esclude qualsiasi possibilità di accordo con l’Udc e non soltanto perché è stato il partito di Cuffaro, ma anche per il partito che è oggi, che muove in una direzione di sostanziale continuità con il passato non onorevole ed encomiabile della politica dei governi siciliani. Un partito che ha ricercato il consenso come unica fonte di legittimazione della funzione politica, un partito che ha una responsabilità grave per le condizioni di devastazione economica e sociale in cui si trova la Sicilia. Se si vuole un’alternativa di senso e di merito non ci si può alleare». Vuoi vedere che la Sicilia potrebbe essere un primo laboratorio politico per provare a costruire una Cosa Seria?
Qualcuno mi fa notare giustamente che questi punti devono arrivare all’interno delle segreterie dei partiti: ottimo, io per la mia parte e per quel che posso credo che questo sia un buon documento per l’assemblea nazionale di SEL che ci sarà nei prossimi giorni. Alcuni democratici hanno intenzione di discuterne nei propri direttivi. Non basterà direte voi (so già), può essere. Avremmo fatto tutto quello che serviva per tenere la barra dritta. Avremo dichiarato la nostra posizione: cosa è accettabile e cosa no. E prendere posizione (e chiederne il rispetto e lavorare perché possa essere un sentire comune rappresentato) è politica. O no?
Non finisce qui. Inizia adesso.