Un sistema fraudolento ha permesso che miliardi di dollari finissero nelle tasche di Isis, regime di Assad e milizie sciite filo-iraniane. Le false fatture emesse da banche irachene e i trasferimenti sospetti avrebbero dovuto far scattare mille campanelli d’allarme. Ma con superficialità e cinismo le autorità americane hanno chiuso gli occhi e nutrito il mostro che stavano combattendo.
Un sistema fraudolento che per anni ha permesso di dirottare miliardi di dollari dalle casse della Federal Reserve di New York verso le tasche di gruppi terroristici e milizie anti-americane in Iraq. È quanto emerge da una dettagliata inchiesta del consorzio giornalistico Occrp, che getta una luce inquietante sui meccanismi finanziari che alimentano l’instabilità in Medio Oriente. Il meccanismo è tanto semplice quanto redditizio: banche irachene compiacenti presentano false fatture di importazione per ottenere dollari dalla Banca centrale del Paese, che a sua volta li preleva dal conto presso la Fed di New York dove confluiscono i proventi del petrolio iracheno. Soldi che invece di pagare merci inesistenti finiscono sui conti di società di facciata legate a organizzazioni come lo Stato Islamico o le milizie filo-iraniane.
Il bancomat del terrore ha funzionato per 20 anni sotto gli occhi distratti delle autorità Usa
Un vero e proprio bancomat del terrore, che ha funzionato indisturbato per quasi 20 anni sotto gli occhi distratti delle autorità americane. Nonostante già nel 2012 un rapporto al Congresso Usa denunciasse che l’80 per cento dei fondi ottenuti con questo sistema finiva in «transazioni illegali», Washington ha continuato imperterrita a riversare miliardi di dollari nelle casse di Baghdad. Solo nel gennaio scorso, dopo l’attacco di droni che ha ucciso tre soldati americani in Giordania, il Tesoro si è finalmente deciso a sanzionare la banca Al-Huda e il suo proprietario. Peccato che già nel 2015 una commissione parlamentare irachena avesse dettagliatamente documentato come Al-Huda avesse ottenuto fraudolentemente 6,5 miliardi di dollari in soli tre anni. Ma evidentemente per l’amministrazione Usa la stabilità del dinaro iracheno era più importante del finanziamento di gruppi terroristici. O forse, come ammette candidamente l’ex ambasciatore James Jeffrey, «il riciclaggio di denaro non era qualcosa a cui abbiamo prestato particolare attenzione».
Fatture false, trasferimenti sospetti, società di comodo avrebbero dovuto far scattare campanelli d’allarme
L’inchiesta dell’Occrp ricostruisce minuziosamente il funzionamento del sistema, analizzando migliaia di documenti relativi alle richieste di dollari presentate dalle banche irachene. Emerge un quadro sconcertante di frodi sistematiche, con fatture false, società di comodo e trasferimenti sospetti che avrebbero dovuto far scattare mille campanelli d’allarme. Prendiamo il caso della United Bank for Investment (Ubi): in un solo mese, l’aprile del 2012, ha ottenuto 315 milioni di dollari sulla base di richieste che per il 99 per cento mostravano chiari segni di frode. Fatture gonfiate, documenti doganali mancanti, società esportatrici inesistenti. E soprattutto, i soldi non finivano mai ai presunti fornitori, ma venivano dirottati su conti di cambiavalute in Giordania o di misteriose società offshore. Almeno 28 milioni di dollari sono finiti nelle casse di una società che secondo gli Usa gestiva i fondi di Sa’id Ahmad Muhammad al-Jamal, un finanziere iraniano sanzionato per aver fornito «decine di milioni di dollari agli Houthi» dello Yemen. Altri milioni sono andati direttamente nelle tasche del presidente di Uni e di suo fratello.
Il fiume di denaro ha alimentato gruppi come l’Isis, le milizie filo-iraniane, il regime di Assad
E non si tratta di casi isolati. L’inchiesta documenta lo stesso modus operandi per decine di banche irachene, che hanno drenato miliardi di dollari dal sistema con la complicità delle autorità di Baghdad. Un fiume di denaro che ha alimentato per anni gruppi come l’Isis, le milizie sciite filo-iraniane, il regime siriano di Assad. «Le milizie che ora gestiscono l’Iraq si sono costruite utilizzando i finanziamenti forniti dalle aste in dollari», sintetizza Michael Knights, esperto del Washington Institute. «Gli Stati Uniti sono stati molto lenti nell’agire». Ma perché Washington ha chiuso gli occhi così a lungo?
La priorità per gli Usa era mantenere stabile il dinaro iracheno
Le spiegazioni fornite dagli ex funzionari Usa intervistati dall’Occrp sono un miscuglio di miopia strategica, superficialità e cinico realismo. C’è chi ammette candidamente che la priorità era mantenere stabile il dinaro iracheno, chi sostiene che l’attenzione era tutta concentrata sulla lotta all’Isis, chi dice che semplicemente non si erano resi conto della portata del problema. Il risultato è che per quasi 20 anni gli Usa hanno di fatto finanziato indirettamente i propri nemici, riversando miliardi di dollari in un sistema che sapevano essere corrotto fino al midollo. Solo ultimamente la Federal Reserve ha iniziato a escludere alcune banche dall’asta del dollaro, ma il meccanismo di base non è mai stato realmente riformato. D’altronde, conclude sarcasticamente Stuart Bowen, ex supervisore dei fondi Usa per la ricostruzione dell’Iraq, «abbiamo creato il mostro e poi abbiamo detto: non è il nostro mostro!». Peccato che quel mostro continui a mietere vittime, anche americane.
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