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Crisi energetica Il dormiente governo Draghi investe nelle armi

La narrazione della caduta del governo Draghi era netta: il peccato mortale commesso nei confronti dei “migliori” avrebbe impedito all’Italia di prendere qualsiasi decisione, perfino di spostare qualche spicciolo. Del resto è la stessa narrazione di queste ore in cui alla «caduta del governo Draghi» (frase che va pronunciata con contrizione per funzionare benissimo) si imputa l’immobilismo sulla crisi energetica in arrivo. Fa nulla che i partiti della prossima maggioranza di centrodestra non siano d’accordo tra loro, che l’Europa non riesca per ora a trovare la quadra e che una maggioranza su una scelta qualsiasi non esista all’interno del Parlamento ormai agli sgoccioli. Demonizzare la “caduta del governo Draghi” è il modo migliore per pompare la campagna elettorale e nel frattempo per evitare di prendere una posizione condivisa.

In un Paese che rischia la recessione, quasi 13 miliardi vanno alla Difesa

Ma quel governo che dovrebbe essere “dormiente” ha potuto comunque premiare il re dei dormienti, il ministro della Guerra Guerini che dallo scioglimento delle Camere ha potuto sottoporre al Parlamento più di 20 programmi di riarmo per un investimento totale di quasi 13 miliardi di euro. Tredici miliardi di euro, di questi tempi, in un Paese che a detta di molti rischia la recessione. L’Osservatorio sulle spese militari italiane snocciola la lista della spesa: «Cinque programmi (scudo antimissile, armamento droni Predator, elicotteri Carabinieri, sistemi di ricognizione aerea, razzi anticarro) per una spesa complessiva pluriennale di quasi un miliardo sono stati presentati al Parlamento il 26 luglio e approvati velocemente (e all’unanimità) dalle Commissioni Difesa di Senato e Camera rispettivamente il 2 e 3 agosto. Altri sei programmi (nuovi pattugliatori e cacciamine della Marina, ammodernamento degli elicotteri per la Marina, missili antiaerei, ammodernamento di cacciatorpedinieri per la Marina e carri armati per l’Esercito) per una spesa complessiva pluriennale di oltre 6 miliardi sono stati presentati dal ministero tra il 3 e il 10 agosto e calendarizzati per l’esame in commissione Difesa della Camera a partire dall’8 settembre. Ulteriori 10 programmi (elicotteri d’addestramento, gestione droni, navi anfibie per la Marina, radiotrasmissioni, satelliti spia, bazooka, un sistema di piattaforma stratosferica, droni di sorveglianza, potenziamento di capacità per brigata tattica, nuovi carri armati leggeri) per una spesa totale pluriennale di oltre 5,5 miliardi sono infine stati inviati al Parlamento dal ministro Guerini il 1 settembre, solo pochi giorni fa. Non è chiaro se le competenti Commissioni parlamentari arriveranno a calendarizzare i pareri (obbligatori) su questi atti del governo nei pochi giorni di vita ancora rimanenti della XVIII Legislatura». A questo si aggiungono i pareri positivi per i programmi d’armamento per un controvalore approvato di quasi 4 miliardi di euro e un onore complessivo di circa 7,3 miliardi di euro.

Crisi energetica Il dormiente governo Draghi investe nelle armi
Lorenzo Guerini (Getty Images).

Quando la corsa alle armi era “una cosa di destra”

No, non c’entra la guerra in Ucraina. Il trend della corsa alle armi parte da lontano. C’entra il tetto fissato dalla Nato del 2 per cento del Pil da destinare al settore. Dall’attentato alle Torri Gemelle nel 2001 l’incremento complessivo è del 90 per cento. Nel 2020 la quota di spesa militare globale ha raggiunto i 1.981 miliardi di dollari, i dati dell’anno scorso ancora non ci sono ma sicuramente verranno superati i 2 mila miliardi di dollari. Una volta in questo Paese esistevano gli attivisti per il disarmo, i pacifisti e un blocco maggioritario dei partiti che riteneva il contenimento della spesa militare una priorità, preferendo investire su welfare, cultura e sanità. Ci si aspettava, insomma, che un La Russa sprizzasse gioia immaginando l’aumento delle spese militari. Era roba di destra, di estrema destra. La stessa Forza Italia, fin dalla sua nascita, non ha mai mostrato particolare empatia per la rincorsa alle armi. Pochi giorni fa il sedicente Terzo polo di Renzi e Calenda (che nella migliore delle ipotesi sarebbe il quarto) ha rilasciato una card in cui fiero rivendica di voler incrementare la spesa militare per raggiungere l’obiettivo del 2 per cento del Pil entro il 2025. Come una destra estrema qualsiasi, quella che fino a qualche anno fa sarebbe stata derisa da tutti gli altri. Non è di destra il ministro Guerini che si professa tra l’altro ultra cattolico, tanto per completare il paradosso. L’odore di guerra ha pervaso le narici anche degli insospettabili. Ci siamo abituati anche a questo. È normale che poi la destra, quella che ha il coraggio di dichiararsi, faccia meno paura.

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