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Crolla il mito della premier forte

La leader accusata di essere troppo ruvida è diventata morbida, morbidissima. Praticamente un’ombra. Giorgia Meloni ha fatto il pieno di voti in questi ultimi anni alzando la voce, sempre e comunque, inseguendo ossessivamente la sovraesposizione su tutti i temi. C’è da presumere, senza bisogno di essere fini analisti, che tra i suoi voti abbia covato l’esasperazione di vedere – “finalmente”, hanno pensato i suoi elettori – “qualcuno che dice le cose come stanno”. Il “finalmente” è la benzina del nuovismo per cui qualsiasi leader mai stato prima al governo gode di un carico di speranza inimmaginabile per chi ci è già passato.

Ossessionata dal consenso, Giorgia Meloni manda allo sbaraglio i ministri. Così è diventata regina nell’arte di imboscarsi

Meloni imperversava sui social urlando contro le accise della benzina. Ci si sarebbe aspettato che nostra signora dell’indignazione avesse preso di petto la questione del prezzo dei carburanti, avrebbe mostrato lo stesso piglio contro la lobby del petrolio oltre a scardinare le maledette accise. Non l’ha fatto (in politica accade di non poter fare cose che si vorrebbero fare o banalmente di non riuscirci) ma soprattutto è scomparsa.

Nascosta dal paravento del suo ruolo istituzionale che – a detta dei suoi – le impone un nuovo senso della misura. Meloni ha lasciato campo ai suoi ministri e ai sottosegretari (preferibilmente del suo partito) talvolta usati come opposizione al suo stesso governo. Pensateci, anche di fronte alla marea di gente che qualche giorno fa ha manifestato contro il pestaggio fascista di fronte alla scuola di Firenze, nonostante le improvvide uscite del ministro Valditara che ha additato una preside colpevole secondo lui di apologia di antifascismo, la voce chiara e secca di Meloni – quella che ha fatto esultare certe discutibili femministe per l’avvento della “donna forte” – non s’è sentita. In disparte.

Ai tempi di Draghi era proprio Meloni a pretendere che l’ex premier riferisse su tutto ciò che accadeva nel Paese

Qualcuno la chiama “saggezza” (non ultimo Adriano Celentano in un’intervista al Corriere) ma non si può non ricordare come ai tempi del governo Draghi fosse proprio Meloni a pretendere che l’ex presidente del Consiglio riferisse su tutto ciò che accadeva nel Paese. Peggio ancora fece nei governi Conte, Gentiloni e Renzi. All’opposizione Giorgia Meloni pretendeva (giustamente o meno) che il presidente del Consiglio si disincagliasse dal suo ruolo istituzionale “per rispondere agli italiani”.

Se fosse così la riforma della giustizia e le dichiarazioni del ministro Nordio non hanno meritato una sua presa di posizione. Pochi comunicati, molto sbiaditi e le diplomatiche risposte che non rispondono a nulla e non prendono posizione. La vicenda Donzelli-Delmastro l’ha sfiorata di passaggio, come se non fosse anche la presidente del loro partito. Un capolavoro di nascondimento è l’atteggiamento tenuto sulla strage di Cutro: un video, guardando fissa in camera, in cui come unico contenuto politico riesce a porre una domanda retorica scandalizzata: “Ma davvero credete che non li avremmo salvati?”.

Giorgia Meloni ha una dichiarazione, una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali

Sì, hanno risposto in molti. Ma una presidente del Consiglio dovrebbe dare risposte, non porre domande. Giorgia Meloni ha una dichiarazione, una al giorno, per le feste comandate e per gli incontri ufficiali. Sarà, c’è da scommetterci, fornita di un’ottima dichiarazione perfettamente equilibrista per la farsa del Consiglio dei ministri di oggi a Cutro. Riuscirà a non scontentare gli addolorati e a non far sentire traditi gli xenofobi. Sarà una dichiarazione magica, come al solito, che evoca l’idea che gli elettori si sono fatti di lei (non corroborata dai fatti) e che non offre troppi spunti agli oppositori. “Saggezza”, la chiamano. E invece è solo imboscamento.

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