Negli Usa una discussione schietta e sincera, senza sentire esagitati bellicisti da divano che additano amici di Putin ogni secondo, è già iniziata da giorni. Da noi ieri il direttore de La Stampa Massimo Giannini ha scritto un editoriale impossibile fino a pochi giorni fa in cui dice che è arrivato «forse il momento che le cancellerie euro atlantiche aprano un confronto serio con Zelensky, non per accusarlo o isolarlo, ma almeno per capire qual è la sua strategia, e qual è per lui il confine tra protezione e aggressione. E ovvio che il presidente ucraino combatte questa guerra con i mezzi che ha a disposizione e che ritiene più efficaci. Ma un conto sono le operazioni belliche che il suo esercito effettua (col nostro aiuto) per riconquistare i territori ucraini usurpati dagli invasori. Altro conto sono le missioni che i suoi 007 effettuano oltre i confini, andando a colpire l’Orso russo nella sua tana. Le implicazioni possono essere molto diverse».
Scrive Giannini: «E poiché (come abbiamo detto) la sua guerra è pure la nostra, quelle implicazioni riguardano anche noi. L’Occidente ha un dovere nei confronti di Zelensky: lo deve sostenere, senza distinzioni pelose. Ma Zelensky ha un impegno nei confronti dell’Occidente: lo deve ascoltare, senza decisioni precipitose. Nella spirale che ci sta risucchiando, a ogni azione ucraina può corrispondere una reazione russa che potrebbe non colpire più soltanto Kiev, ma l’intera Alleanza Atlantica e l’intera comunità internazionale. Di questo il commander in chief ucraino deve tenere conto. A meno che (e non vogliamo crederlo) non pensi di trascinarci tutti nella Terza Guerra Mondiale. Che per altro, forse, è già cominciata».
Qualcuno tardivamente ci sta arrivando. Tralasciando i veri amici di Putin e coloro che chiedono una resa ucraina c’è molto di più dei testosteronici guerriglieri da divano nostrani (molti curiosamente appartenti al sedicente universo liberale) di cui occuparsi. Salutiamo l’abbandono del pensiero binario e la benvenuta complessità della situazione in Ucraina. Discuterne seriamente significa innanzitutto smettere di eccitarsi per le bombe giuste, insistere nel raccontare il genocidio russo e l’orrore di questa guerra (e di tutte le guerre) in cui Putin sta dando sfogo alla sua natura criminale e chiedere che gli attori in campo siano all’altezza della situazione, tutti.
Potremo così finalmente lasciar perdere quei miseri personaggi che usano il dolore ucraino per sistemare le proprie antipatie personali e da cortile (un esempio su tutti lo striscione su Gazprom alla manifestazione della Cgil che è stato subito rimosso dal servizio d’ordine) e preoccuparci, come scrive Giannini, della «spirale che ci sta risucchiando», «a meno che Zelensky (e non vogliamo crederlo) non pensi di trascinarci tutti nella Terza Guerra Mondiale. Che per altro, forse, è già cominciata». Confidando che l’Ucraina possa presto tornare a essere libera.
[Durante la notte, dopo la prima stesura di questo articolo, Putin è tornato a colpire con missili sulla capitale ucraina, colpendo obbiettivi che non hanno nulla di militare come l’università e un parco. Qualcuno lo chiama terrorismo. È guerra, quella guerra che Gino Strada additava come sbagliata sempre, tutta. Alcuni chiederanno ancora più armi, ancora più sangue. Altri tiferanno ancora di più l’escalation, come dice Nico Piro che sul suo account twitter scrive: «Ricordate gli opinionisti con l’elmetto che gioivano per esplosione su ponte Kerch? Ora si indignano per attacco su Kyev (anticipato mesi fa dai russi tra possibili rappresaglie) producendosi in distinguo da azzeccagarbugli. La loro è una narrazione tossica, tifano escalation». Come scrive Stefano Barazzetta: “Un ponte è un obiettivo militare (chi ride per un bombardamento che ha ammazzato anche dei civili è da internare). Bombardare il centro città durante l’ora di punta è un atto terroristico. Le differenze ci sono. Detto questo, l’escalation fa solo il gioco di Putin].
Buon lunedì.