(da www.linkiesta.it)
Giocava il Napoli ieri sera. E in città – potete credermi se ve lo dico – non volava una mosca. Piglio il pullman, scendo le scale, seguo la strada e m’avvio al NST: il teatro diretto dal capace Mario Gelardi, che da una chiesa ha cavato fuori una perla. Giulio Cavalli è di là, oltre il portone massiccio del foyer, che prova e riprova, perché – mi ha raccontato poi una degli addetti ai lavori – «è arrivato tardi». Sono le 8 e alle 9 si comincia.
Potrei raccontarvelo in tutte le salse. Dirvi, molto banalmente, che m’è piaciuto. Che Cavalli mi ha conquistato. Che chi lo critica, a torto o a ragione, non vede il quadro completo, non ha gli occhi aperti; pensa di sapere e in realtà ignora. Mafia, vittime, politica, democrazia cristiana e Andreotti. Andreotti su tutto, come un ragù insipido e annacquato: Andreotti che parla, che si confessa, Andreotti al processo; Andreotti che prende vita nella voce dell’altro Giulio.
Come se non bastasse Cavalli, ci si mettono anche la musica, i video, le testimonianze. Uno spettacolo interattivo e interagente. Uno spettacolo breve – rispetto alla media – ed essenziale in tutte le sue parti. Un docu-film senza pellicola che inizia e finisce allo stesso modo: raccontando dell’innocenza, presunta, urlata e inesistente, di un uomo. Prima di Andreotti, poi – scherzo del destino – di Berlusconi. Filo conduttore: Cosa Nostra. Dai cugini Salvo a Salvo Lima, da Riina a Mangano, alla «brava persona» Cinà; al boss Belfiore, assassino di Bruno Caccia.
Il bis non-bis, le risate (amare), i racconti, i pensieri. Questo è teatro impegnato prima ancora che civile. Per denunciare certe cose su un palco, in diretta, con gli spettatori che ti fissano dritto in faccia, aspettando solo di poterti riprendere per il tuo più piccolo errore, non ci vuole coraggio, ci vuole qualcosa di più. Ci vuole onestà, che trovarla, di questi giorni, è proprio un’impresa.
di Gianmaria Tammaro