n un mondo che cerca disperatamente di aggrapparsi alle promesse di un futuro più pulito, il sipario si alza su uno spettacolo inquietante: i fondi “sostenibili” dell’UE, quelli che dovrebbero guidarci verso un domani più etico, sono infarciti di investimenti in aziende di fast fashion, combustibili fossili e produttori di Suv. È il Guardian, insieme ai suoi partner mediatici, a rivelare che ben 18 miliardi di dollari dei loro fondi finiscono nelle tasche dei 200 maggiori inquinatori del pianeta.
Gli investitori, con oltre 87 miliardi di dollari in fondi registrati sotto le normative ambientali e sociali dell’UE, ora sanno che parte di questi investimenti sostengono i principali responsabili delle emissioni di gas serra. Un quinto di questi fondi, promossi con termini eco-compatibili, nasconde infatti connessioni con le aziende più inquinanti.
Gli attivisti non ci stanno. Chiedono regole più severe, sottolineando come l’attuale sistema confonda gli investitori e trasformi la gente comune in involontari sostenitori della crisi climatica. Lara Cuvelier di Reclaim Finance lancia l’allarme: “I risparmiatori di pensioni e il pubblico vengono ingannati sulla vera natura della finanza sostenibile”.
Investimenti verdi, ma non troppo: il grande inganno delle etichette eco-compatibili
L’indagine condotta da Voxeurop in collaborazione con il Guardian ha messo sotto la lente di ingrandimento i 25 maggiori inquinatori in otto settori ad alta intensità di carbonio, tracciando gli investimenti dei fondi che rispettano la direttiva UE sulla finanza sostenibile. I dati rivelano un quadro sconfortante: gran parte degli investimenti nei 200 maggiori inquinatori proviene da fondi classificati come articolo 8, che promuovono obiettivi ambientali o sociali, con ulteriori 2 miliardi di dollari da fondi articolo 9, destinati all’investimento sostenibile.
Nonostante i regolamenti non siano pensati per il marketing, le classificazioni sono usate per esaltare le credenziali verdi dei prodotti finanziari. L’Autorità europea per gli strumenti finanziari e i mercati (ESMA) e i watchdog europei delle banche e delle assicurazioni chiedono riforme radicali per combattere il greenwashing. Le etichette “articolo 8” e “articolo 9” sono diventate sinonimo di qualità ambientale ma l’inganno è evidente.
Il problema è grave: 11,7 miliardi di dollari di investimenti nei maggiori inquinatori provengono da fondi con nomi come “ESG” (ambientale, sociale e di governance), e 1,1 miliardi da fondi con termini come “pulito”, “transizione”, “zero netto” e “Parigi”. Questi ultimi richiamano l’accordo sul clima di Parigi del 2015, siglato con la promessa di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, un obiettivo che richiederebbe rapide riduzioni delle emissioni per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Ma tra i primi dieci destinatari di questi fondi verdi regolamentati dall’UE si trovano aziende di combustibili fossili e case automobilistiche che continuano a produrre veicoli sempre più grandi.
ESMA interviene: nuove regole contro il greenwashing, ma basteranno?
Xavier Sol, direttore finanziario sostenibile di Transport & Environment, denuncia la situazione: “I più grandi portafogli verdi d’Europa sono le stesse società sporche, riconfezionate come sostenibili. Abbiamo bisogno di capitale privato per accelerare la transizione verde, non per ostacolarla”. Sol insiste che solo gli investimenti destinati ad attività realmente verdi dovrebbero ricevere un’etichetta sostenibile.
L’ESMA ha recentemente aggiornato le linee guida, vietando ai fondi con significativi investimenti in combustibili fossili di definirsi verdi. Queste nuove regole, che entreranno in vigore entro la fine dell’anno, non sono giuridicamente vincolanti e i regolatori nazionali possono ignorarle. Cuvelier osserva: “Finora i regolatori hanno usato solo la carota con gli investitori, ma non è abbastanza”. È un verde che tende sempre al grigio.
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