Arci Porco Rosso, Borderline Sicilia e Borderline-Europe anche quest’anno hanno continuato il progetto “Dal mare al carcere” sulla criminalizzazione dei cosiddetti scafisti che con questo governo sono ovviamente saliti alla ribalta.
Si parte dalla dichiarazione di Giorgia Meloni che, di fronte alla crisi con la Francia scaturita dal tentativo dell’Italia di bloccare l’ingresso e lo sbarco delle navi Ong che avevano prestato soccorso a centinaia di persone, sostiene: «Meglio isolare gli scafisti, non l’Italia». Affermazioni odiose, che alimentano la demonizzazione di chi non fa altro che condurre oltre la frontiera imbarcazioni di persone in fuga, cercando di imporre nuovamente la figura dello scafista al centro della conversazione, come capro espiatorio universale a cui si possa addossare la responsabilità della morte e della violenza che avviene alla frontiera marittima italiana.
Nel report si legge che «nel 2022, abbiamo contato il fermo di 264 persone in seguito agli sbarchi. Questa cifra non è scientifica, ma si basa su quanto riportato dai giornalisti, soprattutto nella stampa locale. Usando lo stesso metodo, l’anno scorso abbiamo contato 171 fermi, a fronte dei 225 fermi rivendicati dalla Polizia di Stato nel loro report annuale uscito ad aprile. Se abbiamo mantenuto lo stesso livello di precisione, possiamo stimare che il numero di fermi complessivamente nel 2022 è di 350 persone circa».
Il numero di fermi rappresenta una persona ogni 300 persone arrivate, una proporzione simile al 2021, e complessivamente anche simile al periodo 2014-2017. «Molto diverse rispetto a questo periodo, però, sono le nazionalità delle persone fermate. Negli anni successivi all’apertura della rotta libica, tantissime persone provenienti dall’Africa occidentale sono state arrestate, circa un quarto di tutti i fermi. Negli ultimi due anni, abbiamo contato meno di 10 fermi che coinvolgono cittadini di questi Paesi».
Le associazioni hanno seguito nel dettaglio 84 persone criminalizzate, 54 delle quali sono in carcere. «Quasi metà di loro provengono dal Nord Africa, e un terzo dall’Africa Occidentale. Gli altri da paesi asiatici, dall’Africa Orientale o dall’Europa dell’Est. Tra le persone che seguiamo ci sono due donne detenute, una proveniente dalla Russia e l’altra dall’Ucraina».
«Fare uscire la voce delle persone sotto processo e detenute è fondamentale per sfidare la narrazione attualmente dominante che mira a demonizzare le persone accusate di essere scafisti. Per questo motivo negli ultimi mesi ci siamo messə a disposizione di giornalisti che hanno pubblicato articoli di cronaca e inchieste importanti a tal riguardo. Il lavoro del gruppo Lost in Europe ha contributo all’approfondimento della questione dei minori stranieri accusati di essere scafisti, pubblicato, fra altre testate, su L’Essenziale e ANSA. Il Post International invece ha pubblicato un esaustivo articolo che riporta il caso di due cittadini turchi condannati a 12 anni di carcere in primo grado; siamo ora in contatto sia con gli imputati che i difensori. Lorenzo D’Agostino ha scritto per il Domani del caso di Helmi El Loumi , un ragazzo tunisino condannato per l’orrendo naufragio di novembre 2019, condannato ad otto anni di reclusione e con il quale manteniamo una corrispondenza epistolare. In più, la situazione in Italia è stata paragonata a quella in Grecia e Regno Unito da diversi giornalisti: per il New Humanitarian in inglese, e per La Liberation in francese. Si possono leggere tutti questi articoli e altri ancora nel nostro sito”, scrivono gli autori del rapporto.
Tutte queste storie hanno la stessa morale. Come scrivevano gli autori nel loro rapporto precedente la persecuzione sotto il profilo penale dei cosiddetti scafisti in Italia andrebbe letta nel contesto sempre più ampio della criminalizzazione della migrazione verso l’Europa. Nel caso dei cosiddetti scafisti, si tratta della criminalizzazione dell’atto di guidare una barca con a bordo migranti che fanno ingresso in Europa senza visto; va ricordato che i procedimenti penali contro i guidatori delle barche si svolgono non solo in Italia ma anche in Grecia, Spagna, le Canarie e il Regno unito: le tragiche situazioni che emergono da questa ricerca rappresentano, quindi, un tassello di un fenomeno di scala internazionale. Allo stesso tempo, questi eventi devono essere visti e analizzati anche tenendo conto del contesto italiano, un Paese in cui gli atti di solidarietà alle persone migranti sono presi di mira dalle procure, come dimostrato dai procedimenti penali aperti contro gli equipaggi delle missioni civili di ricerca e soccorso (Iuventa, Mediterranea) e dalla condanna in primo grado del Sindaco di Riace.
La realtà è molto più complessa di come ci piacerebbe che fosse. In quelle sfumature di grigio c’è il senso di responsabilità della politica, della stampa e dei cittadini.
Buon mercoledì.