A forza di mitigare la memoria accadono fine settimana come quello appena trascorso in cui l’Italia si sveglia di soprassalto per le scontate parole di Rita Dalla Chiesa, conduttrice televisiva prestata alla politica nelle fila di Forza Italia nonché figlia del generale Carlo Alberto ucciso a Palermo nel 1982.
Dalla Chiesa ha detto ciò che chiunque si interessi minimamente alla storia di questo Paese sa: il generale dei carabinieri venne ucciso sì dalla mafia ma dietro al suo omicidio ci furono menti raffinatissime che erano esterne a Cosa nostra. La sentenza del 2002 scrive: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.
L’8 marzo del 2017 Roberto Scarpinato, al tempo Procuratore Generale di Palermo (oggi senatore), rivelò in una seduta secretata alla commissione antimafia che Gioacchino Pennino (medico, uomo di Cosa nostra e massone, diventato collaboratore di giustizia) raccontò di aver saputo da altri massoni che “l’ordine di eliminare Carlo Alberto dalla Chiesa arrivò a Palermo da Roma, dal deputato Francesco Cosentino”, democristiano, fedelissimo di Giulio Andreotti, segretario generale della Camera e personaggio di rilievo della loggia massonica P2 di Licio Gelli.
Proprio a Andreotti ha fatto riferimento Rita Dalla Chiesa pur senza farne il nome per “rispetto alla famiglia” (qualsiasi cosa voglia dire).
Intorno stupore e costernazione. C’è da capirli: avevano convenuto di non parlare più di mafia e ora qualcuno si mette a ripassare la storia. Poi magari un giorno la parlamentare di Forza Italia potrebbe anche dirci degli accordi tra la mafia e alcuni fondatori del partito in cui milita.
Buon lunedì.
Nella foto: il cartello apparso sul luogo dell’assassinio del generale e di sua moglie