Nell’escalation di tensioni commerciali che sta assumendo i contorni di una vera e propria guerra economica, la Cina ha sferrato un colpo diretto al cuore dell’industria europea del lusso. Il ministero del Commercio cinese ha annunciato che dall’11 ottobre imporrà dazi anti-dumping sulle importazioni di brandy dall’Unione europea, in quella che appare come una chiara ritorsione dopo la decisione di Bruxelles di imporre tariffe sui veicoli elettrici made in China.
Le bottiglie di Martell, Remy Martin, Hennessy e Nonino si troveranno improvvisamente gravate da un’aliquota che oscilla tra il 30,6% e il 39% al loro ingresso nel mercato cinese. Un colpo basso che mira dritto al portafoglio dei produttori europei ma soprattutto un messaggio inequivocabile: la Cina non ha intenzione di subire passivamente le politiche protezionistiche dell’Ue.
La Cina alza i calici: una mossa strategica oltre l’alcol
Il cambio di azione di Pechino, che solo poche settimane fa aveva rassicurato sul fatto che non avrebbe imposto dazi sul brandy europeo, segna un punto di non ritorno nelle relazioni commerciali sino-europee. Ma c’è di più: il dragone non sembra intenzionato a fermarsi qui. Il Ministero del Commercio ha già fatto sapere che, per “proteggere i legittimi diritti delle industrie e delle aziende cinesi” potrebbe estendere la sua rappresaglia ad altri settori chiave dell’export europeo, come l’automotive, la carne suina e i prodotti lattiero-caseari.
Dieci paesi dell’Ue hanno votato a favore dei dazi sulle auto cinesi, tra cui Paesi Bassi, Italia e Polonia, e ora rischiano di essere più esposti alle ritorsioni della Cina. Germania e Ungheria, d’altra parte, erano tra i cinque paesi che hanno votato contro l’iniziativa europea.
Bruxelles in hangover: la risposta tiepida dell’Ue
Di fronte a questa escalation la reazione di Bruxelles appare sorprendentemente tiepida. Il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha dichiarato con nonchalance: “Non siamo mai preoccupati”. Una frase che suona più come un wishful thinking che come una reale valutazione della situazione. Gentiloni ha poi aggiunto: “Abbiamo preso decisioni appropriate e molto proporzionate. Non penso che ci sia alcuna ragione di reagire a questa decisione proporzionata con una ritorsione”. Parole che sembrano ignorare la portata della sfida lanciata da Pechino.
La Commissione europea ha annunciato che ricorrerà all’Organizzazione Mondiale del Commercio contro i dazi cinesi su brandy e cognac, dichiarando di essere “determinata a difendere l’industria dell’Ue contro l’abuso degli strumenti di difesa commerciale”. Una mossa che, seppur necessaria, rischia di apparire come un mero esercizio burocratico di fronte alla rapidità e all’incisività dell’azione cinese.
La guerra dei dazi sul cognac non è solo una questione di alcolici di lusso. È il sintomo di un conflitto più profondo che vede contrapposte due visioni del commercio internazionale: da un lato, l’approccio pragmatico e aggressivo della Cina, dall’altro, l’ideale europeo di un mercato globale regolato e “fair”. Il rischio è che, mentre l’Ue si attarda in discussioni su regole e procedure, la Cina continui a guadagnare terreno, imponendo di fatto le proprie condizioni.
In questo contesto, l’Unione europea si trova di fronte a un bivio: continuare sulla strada di un approccio conciliante, rischiando di vedere erosa la propria competitività, o sviluppare una strategia geoeconomica più assertiva, capace di tutelare gli interessi europei in un mondo sempre meno incline al compromesso.
La guerra dei dazi potrebbe essere solo l’inizio di una sfida molto più ampia che richiederà all’Ue una profonda riflessione sul suo ruolo nel mondo e sugli strumenti necessari per affermare i propri interessi. E non basterà rinchiudersi nel sovranismo economico.
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