“De Luca parla come un camorrista: credo che il suo partito si sarebbe dovuto interrogare tempo fa sulle discutibili qualità umane e gli eccessi verbali di questo personaggio”: lo dice in un’intervista pubblicata su Il Dubbio Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia e attento osservatore dei linguaggi e dei modi mafiosi. E aggiunge: «sarebbe pericoloso derubricare il tutto come semplice ironia».
E nelle osservazioni di Fava ci sta tutta l’indignazione che manca e che oggi risulta sempre più fuorviata: ci si inalbera per un tweet di un anonimo commentatore (la vicenda di Beatrice Di Maio che doveva essere Spectre e invece è la moglie di Brunetta la dice lunga) e si lascia passare il comportamento lessicalmente paramafioso di un presidente di regione. Anzi, peggio, lo si premia poco dopo con una furbata (ne ho scritto qui) che lo rimette in sella per il controllo della sanità nella sua regione.
De Luca è quello che intercettato disse “a quello gli scipperei la testa”, è quello che elogia le clientele, lo stesso che disse della Bindi “infame” e “da uccidere”. Chi difende De Luca (o ne sminuisce le colpe culturali) è in concorso esterno al favoreggiamento culturale alla mafia. Piaccia o non piaccia. E va detto, va scritto, dappertutto.