Per far fronte alla mancanza di lavoratori si introducono migranti in Italia tramite i click day. Solo che poi il numero dei visti concessi è sempre maggiore a quello dei contratti attivati. E quindi molti extracomunitari finiscono per alimentare sommerso e criminalità. Poi non stupiamoci quando leggiamo di braccianti ridotti a schiavi e morti atrocemente.
La Direzione generale dell’immigrazione del ministero del Lavoro alle parti sociali ed economiche ha presentato i dati di sintesi del 2023 e del 2024 del Decreto flussi. Il piano triennale del governo Meloni prevede 452 posti spalmati in tre anni, fino al 2025. Regolarizzare gli ingressi nel nostro Paese per il governo è un gioco su un filo sottile. Da una parte bisogna calmierare la propaganda che gli stessi partiti di destra infiammano in prossimità delle competizioni elettorali; dall’altra parte bisogna accontentare gli amministratori e i presidenti di Regione (anche dei partiti di maggioranza, il leghista Luca Zaia in testa) che quotidianamente denunciano la mancanza di lavoratori.
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Nell’incrocio tra domanda e offerta il procedimento si incaglia
Nel 2023 i posti disponibili erano 136 mila e le domande presentate ai click day sono state 609 mila, più del quadruplo. Lo stesso per il 2024: i posti sono 151 mila e le richieste 702 mila. Un quarto delle domande è inevaso. Dopo il fatidico clic della lotteria della cittadinanza arriva però la parte più difficile. Per completare i passaggi dovrebbe esserci la stipula del contratto di soggiorno da parte del datore di lavoro dopo l’arrivo in Italia del cittadino extracomunitario. Nel momento dell’incrocio tra domanda e offerta il sistema si incaglia. Del resto i datori di lavoro devono, secondo le regole, assumere gente che spesso non hanno mai visto, attivando i contratti a distanza. Una modalità senza senso che infila gli aspiranti lavoratori ai mestieri più basilari, calcolandoli semplicemente come forza cinetica a disposizione, senza nessuna possibilità di valutarne le competenze.
Alcuni settori rimangono esclusi, come trasporti e turismo
Il sistema si blocca. Per questo il numero dei visti non combacia mai con quello dei contratti attivati. Alcuni settori rimangono praticamente esclusi, come quello dei trasporti e del turismo. La Cgil spiega che chi entra con il decreto flussi e non trova il corrispondente contratto di lavoro va ad alimentare l’irregolarità lavorativa senza avere più la possibilità di uscire dalla spirale del sommerso per le leggi vigenti. Diventa di fatto un invisibile regolarmente importato a disposizione della criminalità e del lavoro nero. Spesso si ritrova ghettizzato (mica metaforicamente) per qualche lavoro da pochi spicci.
Chi entra nel nostro Paese ha un visto, ma non un contratto
Nicola Marongiu, coordinatore Contrattazione e Politiche del lavoro della Cgil nazionale, nota che «c’è stato uno stallo per le quote d’ingresso tra il 2011 e il 2021. In questi ultimi anni c’è stato un incremento delle quote, che sono triplicate, e, nonostante questi numeri, il meccanismo continua a non funzionare. C’è un’elevata richiesta di accesso ai flussi, poi gli incroci con le offerte di lavoro sono casuali e i contratti attivati una minoranza. Chi entra in Italia ha un visto, ma non un contratto e così questi lavoratori spariscono dal circuito legale».
Un pensiero colonialista dell’Italia che “fa la spesa”
Sono finezze giuridiche? Per niente. Ogni volta che capita di leggere un’intervista ai datori di lavoro che lamentano scarsa professionalità nella forza lavoro a disposizione si dovrebbero tenere a mente quel mezzo milione di persone che nei prossimi tre anni entreranno in Italia senza avere la possibilità – per legge! – di accedere a un percorso di formazione. Dietro la filosofia del Decreto flussi così com’è pensato c’è il pensiero colonialista dell’Italia che ciclicamente “fa la spesa” in giro per il mondo di lavoratori che il resto del mondo dovrebbe avere formato per rispondere alle esigenze del mercato italiano. Un’utopia economica, oltre a una disdicevole visione della realtà.
La burocrazia li trasforma in schiavi da vendere al chilo
Ogni volta che capita di leggere di un bracciante massacrato dal lavoro illegale, anche senza bisogno di morti atroci per dissanguamento dopo avere perso il braccio, si dovrebbero tenere a mente quel mezzo milione di persone che arrivano in Italia per salvarsi ma non collimano con il lavoro salvifico che gli viene offerto. Questi per la burocrazia spariscono, però nella realtà sono schiavi da vendere al chilo. Al di là della propaganda, vale la pena tenere in piedi un sistema così?
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