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Deportare è la nuova accoglienza: l’Ue verso la svolta a destra sotto la guida di von der Leyen

Il Consiglio europeo ha segnato uno dei momenti più critici per l’Ue in tema di migrazioni. Il pendolo, ormai, si è spostato decisamente a destra, e non è stato per caso. Alla guida di questo cambio di rotta c’è la Commissione von der Leyen, che con la sua presenza e il suo sostegno alle “soluzioni innovative” ha di fatto legittimato politiche di respingimento che in passato erano considerate inaccettabili. Ursula von der Leyen, da presidente della Commissione, non solo ha partecipato attivamente agli incontri con i leader di Paesi come Olanda, Danimarca e Italia, ma ha anche appoggiato apertamente l’idea di esternalizzare il problema migratorio, spostandolo lontano dagli occhi dell’Europa.

L’Olanda e l’idea di deportare in Uganda: quando l’Ue esternalizza i migranti

Tra le proposte che emergono, quella dell’Olanda è la più esplicita. Deportare i migranti respinti in Uganda, in attesa di rimpatrio, è diventata una strategia “seria” e concreta, come ha affermato il primo ministro olandese Dick Schoof. Non è solo una trovata elettorale: il governo olandese sta effettivamente negoziando con Kampala per trasformare l’Uganda in un campo di raccolta dell’Europa. La presidente von der Leyen non ha fatto altro che sostenere questi negoziati, aprendo la strada a un modello che rischia di diventare sistematico.

L’Olanda non è sola. Anche la Danimarca, sotto la guida della socialdemocratica Mette Frederiksen, ha contribuito a rafforzare questa tendenza, dimostrando che lo slittamento a destra è trasversale. La Danimarca sta già lavorando per inviare i detenuti stranieri in Kosovo e ora guarda con favore alla creazione di “hub” in Africa per i migranti respinti. Il sostegno politico è forte, con il Partito Popolare Europeo che vede in queste politiche una risposta all’avanzata delle destre nazionaliste. Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, ha promosso l’accordo con l’Albania (“Una scelta apprezzata da tutti”), un altro esempio di esternalizzazione del problema, come un modello da seguire.

Difesa dei confini: cosa c’è dietro il cambio di strategia

Ma non si tratta solo di chiudere i confini: si tratta di spostare la responsabilità fuori dall’Europa, in Paesi che non hanno né le risorse né la capacità di gestire questi flussi. Questa non è una strategia nuova, ma sotto la presidenza von der Leyen, ha assunto una dimensione istituzionalizzata. Ciò che era una misura eccezionale è diventato la norma. Le critiche di Paesi come la Germania, dove Olaf Scholz ha dichiarato che gli hub esterni non sono una soluzione praticabile, e del Belgio, con Alexander De Croo che ha definito queste politiche “costose e inefficaci”, vengono messe in secondo piano. La Commissione, ormai, si è allineata alla logica della sicurezza a tutti i costi, ignorando le voci contrarie e i dubbi sulla fattibilità di queste misure.

Le conclusioni del Consiglio europeo parlano chiaro: si deve agire “in modo determinato” per aumentare i rimpatri e controllare i confini esterni, anche attraverso accordi con Paesi terzi. Ma questa determinazione, che von der Leyen ha sposato in pieno, non risolve i problemi strutturali delle migrazioni. Spostare i migranti in Uganda o in Albania non ridurrà la pressione sui confini europei, non risolverà le cause alla radice della migrazione. È un modo per rimandare la questione, per renderla invisibile, almeno agli occhi dei cittadini europei.

Von der Leyen alla guida dell’Europa blindata: la sicurezza sopra tutto, i diritti in secondo piano

L’Europa che si proclamava campione dei diritti umani, che parlava di solidarietà e accoglienza, oggi ha scelto un’altra strada. Ursula von der Leyen ha contribuito a tracciare questa rotta, rendendo accettabile ciò che un tempo sarebbe stato inconcepibile. Il risultato è una politica che non affronta la realtà della migrazione, ma la respinge fisicamente, moralmente e politicamente.

Le prossime settimane saranno decisive per capire se questo modello verrà implementato su larga scala. Se così fosse, l’Unione europea potrebbe trovarsi a gestire un sistema che mina i suoi stessi valori, sacrificando l’umanità sull’altare della sicurezza. Un’eredità che la Commissione von der Leyen lascerà alla storia.

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