Una Procura invita un prete a essere «silenzioso». Non è uno scherzo. Don Mattia Ferrari è il cappellano di Mediterranea saving humans ma soprattutto è una voce limpida sul ruolo criminale della mafia libica legata ai servizi segreti di diversi Paesi. Quando il prete decide di presentare querela per i ripetuti attacchi ricevuti sui social network alla Procura di Modena era probabilmente convinto che lo spessore criminale dei suoi nemici avrebbe ricevuto la giusta attenzione. Del resto un prete protetto da una «radiosorveglianza» decisa dal Comitato provinciale per la sicurezza proprio sulla base della pericolosità dei mittenti di quei messaggi è già una notizia che dovrebbe rimbalzare ovunque.
L’account sarebbe di «un portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi»
Per la Procura di Modena invece quei messaggi sono irrilevanti, semplici frasi. Come scrive su Avvenire Daniela Fassini, nel testo in cui propone l’archiviazione il pm non cita mai l’account dal quale sono arrivate e che, come attestano inchieste giornalistiche e atti parlamentari, sarebbe invece «un portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi». Quell’account infatti, sottolineano le fonti vicine a chi subisce minacce, pubblica continuamente materiale per conto della mafia libica e periodicamente anche foto “top secret” di velivoli militari europei e di apparati italiani. L’account Twitter Migrant Rescue Watch (@rgowans) è il profilo di qualche “manina” libica (rubo la citazione all’amico Nello Scavo) che gode evidentemente della fiducia di alcune istituzioni italiane che passano documenti e video inaccessibili alla stampa. A oggi nessun magistrato ha trovato il tempo di coordinare delle indagini per chiarirne l’origine.
Secondo la Procura di Modena il prete deve fare il prete senza occuparsi d’altro
Ma che aggiunge nella sua archiviazione la Procura di Modena Nel documento della Procura si legge che «se il prete esercita in questo modo, diverso dal magistero tradizionale», deve aspettarsi minacce di questo tipo. Secondo il pubblico ministero le reazioni sono inevitabili se «come già evidenziato chi porta il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco – ben diverso dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – di estrinsecazione del mandato pastorale – e lo faccia propalando le sue opere con toni legittimamente decisi e netti». Insomma, il prete faccia il prete come ci si aspetta che debba fare e non si occupi d’altro. Sembra di sentire quei moralismi dei politici che invitano i cantanti a cantare, gli attori a recitare e così via, ogni volta che qualcuno decide di opporsi. Stia al suo posto don Mattia e lasci che la moria di disperati in mezzo al Mediterraneo e nelle prigioni libiche lautamente pagate da soldi europei si compia senza troppo disturbo.
Le minacce a Nello Scavo e il cortocircuito italiano
Tutto questo accade mentre il ministro libico Dbeibah chiede adesso il ritiro delle restrizioni e la libertà di viaggiare per Abdurahman al-Milad, nome di battaglia: Bija. Bija è l’autore di minacce mafiose che costringono un giornalista italiano, Nello Scavo, a essere protetto con una scorta. Notate il tilt: il governo italiano finanzia i libici che minacciano un nostro giornalista che ha bisogno della protezione dello Stato per essere difeso. È l’ennesimo paradosso di un’amicizia tra Italia e Libia che nella Storia verrà ricordata come un concorso esterno. Quando racconteremo ai nostri figli che i nostri soldi sono stati usati per finanziare un governo mafioso avremo anche il capitolo del prete minacciato a cui è stato consigliato di essere “silenzioso”. Ma alla fine saranno proprio i “silenziosi” a portare addosso la macchia della vergogna.
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