Forse è la legge del contrappasso: dopo anni in cui Maroni è riuscito a proiettare un’immagine di incorruttibile nemico di mafie e corruzione (ha vestito i panni del ministro dell’Interno con la calzamaglia del quasi supereroe e ha agitato le scope in casa della Lega) alla fine si ritrova, da presidente della Lombardia, a fare la conta degli arresti. Il primo è stato il suo vicepresidente Mario Mantovani e la Lega ha avuto gioco facile nello scaricare tutte le responsabilità sugli alleati di Forza Italia, ma negli ultimi giorni lo scossone è tutto in salsa verde: Fabio Rizzi è il “padre” della riforma sanitaria in Lombardia, quella “rivoluzione leghista” che avrebbe dovuto portare la Regione fuori dalle acque torbide del formigonismo. E invece niente: Rizzi, il consigliere regionale, è stato arrestato e con lui finiscono in manette anche l’imprenditrice Maria Paola Canegrati, attiva nel campo dell’odontoiatria privata, nonché la moglie di Rizzi, un suo collaboratore e la sua compagna, oltre che una decina di funzionari pubblici ovviamente asserviti. La solita bava, insomma: un servizio pubblico che si piega agli interessi privati ungendo i burocrati con le giuste mazzette. Altro che “cambio di passo”: la sanità lombarda ha lo stesso odore degli ultimi anni solo con un po’ di più di salsa al prezzemolo.
Ma come è cominciato l’incubo di Maroni? Questa volta la denuncia arriva dall’interno, l’esposto da cui è partita l’operazione Smile ha un nome e un cognome: Giovanna Ceribelli.
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