Dorme, Pavia, da anni ormai. Spaventata dalla querela facile di qualche signorotto millantatore e sempre impegnata negli appelli umanitari per lavare le condanne e le accuse. Anche lì si organizzano safari antimafia con tanta difficoltà nel guardare in casa propria. Basta leggere l’articolo di Daniele Ferro per farsene un’idea:
Lombardia è terra fertile per i «proficui rapporti» tra ‘ndrangheta e uomini dello Stato. È quanto scrivono i giudici della Corte d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza che conferma le condanne a quaranta imputati, arrestati il 13 luglio del 2010 durante l’operazione «Infinito », che aveva l’obiettivo di smantellare la penetrazione delle cosche nella regione.
Un Comune che ben simboleggia i «proficui rapporti» in Lombardia è Pavia, città molto pericolosa per chi ostacola i piani degli affaristi. Non a caso tra i condannati spiccano l’avvocato tributarista Giuseppe “Pino” Neri e l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco: il primo condannato a diciotto anni di carcere con l’accusa di essere un boss della ‘ndrangheta in Lombardia, l’altro a dodici anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Entrambi sono calabresi cresciuti professionalmente a Pavia.
Ma anche nei casi in cui non compaiono affiliati alla ‘ndrangheta, la sostanza dei «proficui rapporti» a Pavia è pur sempre mafiosa: lo sostiene chi, denunciandoli, ne è rimasto vittima.
«Pavia è una città omertosa. Con quello che è saltato fuori dovrebbe succedere il finimondo, invece c’è un silenzio tombale, sia da parte delle istituzioni che della società civile», dice l’attivista e giornalista freelance Giovanni Giovannetti. Il cronista si riferisce a minacce di morte nei confronti suoi e di un collega del quotidiano la Provincia pavese, Fabrizio Merli, emerse da alcune intercettazioni telefoniche rese pubbliche due settimane fa dopo la chiusura delle indagini della procura di Pavia su «Punta Est», un cantiere sequestrato all’imprenditore Dario Maestri, finito agli arresti domiciliari nel 2013. È lui a dire «questi bisogna eliminarli fisicamente», riferendosi a Giovannetti e Merli, perché infastidito dai loro articoli che denunciavano le irregolarità su cui si fondavano i suoi cantieri, avvallate da funzionari pubblici con le mani pronte a intascare denaro.
Uno di questi, secondo gli inquirenti, è Ettore Filippi, ex dirigente della Polizia di Stato, vicesindaco durante l’amministrazione di centro-sinistra di Piera Capitelli, poi passato a sostenere la giunta di Alessandro Cattaneo (Fi), infine arrestato per corruzione lo scorso marzo con l’accusa di avere ricevuto da Maestri circa 130mila euro. È con lui che l’imprenditore, nella primavera del 2012, si sfoga contro i due cronisti (che si aggiungono agli oltre 2mila giornalisti minacciati in Italia negli ultimi otto anni, come rilevato dall’osservatorio Ossigeno per l’Informazione ). Alle minacce di morte, Filippi dice a Maestri di «non scherzare», ma poi gli presenta un amico investigatore, Fabrizio Scabini di Voghera, per pedinare i giornalisti. Anche al telefono con Scabini, Maestri minaccia. Parla di Merli, che ha pubblicato quella mattina del 10 marzo 2012 un importante articolo: «Ormai non penso più alla querela ma gli spacco la faccia a quello lì», trascrivono gli inquirenti il 10 marzo del 2012.