Dove sono finito? La domanda è un appunto sempre poco gentile. Vorrebbe avere il tono del ciaocomestai ma ha una curiosità che freme di sconfitta, di speranza solo per buona educazione. Dove sono finito, finisce che mi dico anch’io, o mio dio, dove sono finito per riflettere dentro gli occhi persi di una domanda come un miserere.
Ricordo che quando ero un ragazzino, dico appena iniziata la teatralità più come ispirazione che funzione, che ci insegnavano a stare sulla corda. Dico, erano due gli esercizi più importanti: la barca e stare sulla corda. Sulla barca ci si spostava come sacchi sballottati per tenere in equilibrio la zattera immaginando un mare così stupido per le sue onde contrattempo. Invece la corda, lo stare sulla corda, intendo, era qualcosa come un insegnamento di vita: tenere sempre affamata la voglia e sempre tangibile l’ispirazione. Poi la corda in tensione l’ho ritrovata nella politica, banalizzata certo, e strumentale all’esibizionismo continuo. Stare, ma stare sui giornali piuttosto che esserci, esistere, ma esistere nell’elenco quotidiano dei megafoni, parlare, ma parlare dove ci si può notare, piuttosto zitto ma riconoscibile, riconoscibile mi raccomando, riconosciuto, la solita squallida litanìa dell’apparire come unico alimento.
Ecco, dove sono?
Qualche settimana fa, io non sono mai bravo con i tempi, dico ti richiamo e capace che passino anni come se fosse un mio diritto mettere in pausa il resto del mondo nei miei rapporti, come se il ritmo delle cose nostre fosse fuori dalle imposizioni del calendario, cronologicamente anarchico, una cosa del genere, insomma qualche settimana fa mi ha scritto una persona che conosco. E’ importante quello che mi ha scritto:
Stimavo Giulio, e tanto…
Ma la nuova vita da intellettuale/eremita, dissociato dal mondo e freddamente distaccato dalle persone che l’hanno seguito e sostenuto per ciò che faceva, l’ha reso una persona irriconoscibile.
Ecco, perché è importante quello che mi ha scritto: perché è la stessa domanda del doveseifinito ma più diretta, senza fronzoli, senza nemmeno il finto ardore di avere il tempo di aspettare una risposta. Scritto così, come un fulmen in clausola.
Se c’è una domanda che mi faccio tutte le mattine da almeno dieci anni è che lavoro faccio. Se devo tenere la corda tesa nel teatro, nella scrittura, nella politica e, se mi avanza anche il tempo, nel decidere dove finire. Devo pubblicare un libro all’anno? Devo avere ogni semestre una nuova “coraggiosa, civile e ben fatta” indignazione eroica da trasferire sul palcoscenico? Devo essere il pupazzetto onnipresente in tutti i circhi dell’antimafia? Devo essere il portatore sano della scelta giusta per la sinistra che vorremmo mentre ci si stringe il culo nell’essere democristiani già trentenni? Devo essere sempre ecumenico anche con le delusioni che ho dato e ricevuto? Sempre educato e gentile con gli arrivisti prodotti in serie che sanno benissimo dove arrivare e io non so nemmeno dove sono finito.
Sono finito a riprendermi un po’ tutti i pezzi che avevo lasciato in giro. Certi li ho ritrovati sottili e commoventi come i cocci riparabili di un vaso bellissimo, altri erano brandelli andati a male lasciti troppo in frigo, poi ci sono quelli che non ricordavo nemmeno come la caramella che ti salva il pomeriggio infilata nella piega cartonata della borsa, e poi mi sono messo a contarli. Sparpagliati sulla spiaggia. Anche senza spiaggia. Sono finito a rileggere il mio itinerario. Succede. Non credo sia una mania, una malattia, o un bel momento, non credo che capiti solo a me.
Scrivo. Erano anni che non riuscivo più a scrivere. Scrivo. Ora sì. Un romanzo che uscirà il prossimo anno che è il mio primogenito tra i miei romanzi. Scrivo uno spettacolo nuovo, mio, non solo mio, in cui provo a metterci il cuore.
Studio, studio senza volere credere che sia sano confondere le opinioni con gli insegnamenti e rinnamorandomi dei fatti.
Recito. E mi sforzo di non prendermi mai troppo sul serio.
Seguo la politica. Sì. Da mediamente deluso senza troppi straniamenti. Ascolto, incontro e discuto con Pippo che riesce a tenere la barra diritta, mi incontro con le persone con cui sono politicamente cresciuto e progetto. Progettiamo. Senza preoccuparci di tenere tesa la corda. Così.
Per il resto sono finito a leggere da dove sono partito. E che la strada sia sempre quella.