Se la campagna elettorale nella testa di Enrico Letta doveva basarsi fin dall’inizio su una grande alleanza «per fermare le destre» e per mandare un segnale di «unità della parte responsabile del Paese» allora, almeno finora ovviamente, è miseramente fallita. Non solo è fallita ma ha anche tutti i prodromi di una campagna fallimentare.
Può il non aver fatto cadere Draghi essere il collante per una alleanza
Non è colpa solo di Letta, sia chiaro. Letta, comunque, è quello che si è messo in testa che il «non aver fatto cadere il governo Draghi» fosse un collante funzionale a un’alleanza elettorale. Che da parte del segretario del Partito democratico ci fosse nei confronti di Draghi un’adorazione che sfiorava il complesso di inferiorità era evidente ma che poi fossero talmente avventati da prolungare questa mania fino a 50 giorni prima del voto è tristemente sorprendente. Da “bimbi di Draghi” si possono comportare Matteo Renzi e Carlo Calenda, gente a cui torna utile agitare il santino dell’autorevolezza internazionale per recuperare il voto emozionale di chi è sfranto dalla scarsa qualità della classe politica attuale. Il Partito democratico, per sua natura, si affida alla complessità e allo spessore di organi di partito di diversi livelli che non hanno bisogno (si spera) di un “papa straniero” per coprire le sue falle. A questo aggiungeteci anche che Mario Draghi, serafico come tutti coloro che sono alla fine di un ciclo, ha smontato in poche parole il feticcio dell’agenda Draghi rispedendola al mittente. Rimane quindi la sensazione di assistere all’isteria di chi si accanisce su un giocattolo rotto.
Letta è riuscito nell’impresa di gonfiare Calenda e rendere simpatico Renzi
Enrico Letta in pochi giorni di campagna elettorale è riuscito a gonfiare Calenda (che non aveva certo problemi di sobrietà) nei numeri, nelle parole e negli atteggiamenti. Non immaginare che Calenda si sarebbe mangiato il palcoscenico che il Pd gli ha offerto (per «senso di responsabilità», dicono loro) è una sciocchezza per di più irresponsabile. La perspicacia dovrebbe essere il prerequisito di ogni buon politico ma l’abitudine di lasciare spazio ai propri sabotatori è una sindrome di Stoccolma. Poi c’è la chiarezza che manca. Non è chiaro perché Renzi non abbia potuto stare in un’alleanza che cova così dolcemente Calenda. È una questione di posti richiesti dal leader di Italia Viva Allora perché non dirlo? È Emma Bonino che non ha digerito la sua esclusione al ministero degli Esteri sotto il governo Renzi? Se così fosse, perché non dirlo serenamente? È Calenda che tra le sue molteplici richieste ha aggiunto anche l’espulsione di Italia Viva Perché nessuno si prende la responsabilità di dirlo? Letta e Calenda stanno riuscendo nell’inimmaginabile operazione di rendere Renzi autorevole nella sua narrazione (che nessuno smentisce) e addirittura “simpatico” per un’esclusione che non è spiegabile con gli elementi politici a discussione.
L’incomprensibile gratitudine dem nei confronti di Di Maio
È sempre Enrico Letta che ha appoggiato l’abbraccio incondizionato a Luigi Di Maio. L’evoluzione politica di Di Maio in questi ultimi mesi meriterebbe una domanda che nessuno si sente di fare: perché verso Di Maio c’è questa irrefrenabile gratitudine? Anche in questo caso la sensazione (e ahimè non è solo una sensazione) che qualcosa di non detto, di osceno (ovvero avvenuto fuori dalla scena) leghi il Pd è un pessimo attributo da presentare in campagna elettorale.
No al M5s ma sì a Sinistra Italiana: le contraddizione del Pd
Ripete Letta che bisogna fare «tutto il possibile per costruire un fronte in grado di sconfiggere la destra». La sconfitta dell’avversario in politica è un fine poco nobile e poco interessante per gli elettori ma si sa che da quelle parti il voto utile ormai è un genere letterario. Ma se avere un voto in più della destra è il risultato da inseguire a tutti i costi come si spiega l’esclusione del Movimento 5 stelle? «Ha votato contro Draghi», dicono loro. Ma Sinistra Italiana non ha liberamente negato la fiducia a Draghi per quasi tutta la durata del governo? Anche in questo caso la domanda è la stessa: quindi dove sta la differenza Enrico Letta, lo sappiamo, si è assunto l’impegno improbo di un’impresa difficilissima: tenere insieme anime diverse e pazientemente cucire a ricucire. Ne apprezziamo la sapiente pazienza. Ma è mai stato sfiorato dal dubbio se serva Fin qui, lo possono riconoscere anche gli elettori democratici più fedeli, è stato un gran pasticcio.
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