(Non le manda a dire Massimo Donelli. Eccolo qui)
L’Expo 2015?
Un simbolo del made in Italy.
Nel bene.
E nel male.
Il bene è presto detto.
Lo scorso anno, per sei mesi, da maggio a ottobre, il Belpaese ha messo in mostra i suoi gioielli: arte, design, cultura, cibo, grande ristorazione, fashion…
Petto gonfio, applausi, inno nazionale, un po’ di sano sciovinismo.
E premio finale per Giuseppe Sala, detto Beppe, passato in men che non si dica dalla poltrona di commissario a quella di sindaco.
Evviva!
Il male?
Il male c’è, eccome.
Ma se ne parla poco.
Quasi niente.
Con fastidio.
Eppure è merce attualissima.
Vediamo…
Tanto per cominciare, passato un anno intero, non si è fatto niente.
Niente.
Un milione e centomila metri quadri perfettamente raggiungibili con i mezzi pubblici da Milano sono lì inutilizzati.
Certo, c’è il progetto Human Technopole, voluto fortemente da Matteo Renzi in persona: un grande centro di ricerca guidato dal direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, il professor Roberto Cingolani
E, certo, c’è anche il progetto di realizzare lì il nuovo campus dell’Università statale di Milano.
Ma, come nel gioco delle tre carte (altra specialità made in Italy), nel testo ufficiale della legge finanziaria inviato al Quirinale se i fondi per Human Technopole ci sono (628 milioni, più gli 80 già stanziati, fino al 2022; 140 milioni dal 2023 in poi), quelli per il campus (138 milioni) sono spariti.
Non basta.
Ci sarebbe da chiudere la Expo 2015 Spa.
Ma servono 23 milioni e 690 mila euro.
Il governo ne aveva promessi 9.
E anche quelli sono stati cancellati.
Così come non è stato nominato un commissario straordinario liquidatore.
Ora, a parte il rischio (concreto) del fallimento, l’aspetto più inquietante riguarda aziende e lavoratori: dodici mesi dopo la chiusura, infatti, in molti debbono ancora essere saldati.
Brutta faccenda.
Così, smascherato il bluff e piovute da Milano critiche e minacce, il governo ha immediatamente riaperto l’ombrello delle promesse.
Stavolta il cerino, pardon il manico, è rimasto in mano al sottosegretario Claudio De Vincenti, non proprio un esponente di primo piano della squadra renziana.
Cui, naturalmente, si spera seguano i fatti (“Non possiamo permetterci tempi morti” ha avvertito Sala).
Ma, per ora – stando ai fatti, appunto – non c’è un euro.
Mica è finita.
Il quadro, già così triste, è divenuto addirittura tragico quando, negli stessi giorni della manfrina governativa, l’Expo 2015 è stato sporcato da velenosi liquami gudiziari.
Luigi Ferrarella, che sul Corriere della sera racconta le inchieste penali con rigore e imparzialità, ha cominciato così il suo articolo intitolato “Irregolarità nell’appalto Expo. Deregulation per fare in fretta”: “«Nonostante gli sforzi investigativi non si è giunti a provare l’esistenza» di tangenti, anche se «nell’aggiudicazione del principale appalto di Expo 2015», la «Piastra» da 272 milioni sulla quale sono stati costruiti i padiglioni, «vi sono state numerose anomalie e irregolarità amministrative sia nella fase della scelta del contraente» (la Mantovani che nel 2012 vinse con un ribasso del 42% sulla base d’asta, «non idoneo neppure a coprire i costi»), sia «nella fase esecutiva del contratto», quando le originarie obbligazioni contrattuali furono «modificate consentendo all’appaltatore di entrare in una anomala trattativa “al rialzo” con il committente, ponendo come contropartita la cessazione dei lavori, la cancellazione dell’evento e la credibilità del Paese»”.
Capito?
E non è tutto.
Ancora Ferrarella: “Il manager Expo Carlo Chiesa, sui «rapporti che Sala intratteneva con il presidente della Mantovani», nel 2014 disse ai pm che «Sala ripeteva che “in questo contesto l’unica cosa che non manca sono i soldi”, facendo capire la disponibilità della stazione appaltante a liberare risorse a favore dell’appaltatrice» Mantovani (a cui fu ad esempio affidata per 4,3 milioni la fornitura di 6.000 alberi che le costarono in realtà 1,6 milioni). E sulla scelta di Expo di non fare la verifica di congruità sull’offerta ribassata del 42% da Mantovani, è l’ex manager Ilspa Rognoni ad aver affermato nel 2014 che «Sala mi rispose» che l’orientamento era non farla «perché non avevamo tempo per poter verificare se l’offerta fosse anomala»”.
Insomma, pur di fare in fretta non si è badato a spese.
Letteralmente.
Salvo che, come abbiamo visto, i conti non tornano.
Per nulla…
Lo sospettavamo da tempo.
Giusta intuizione, purtroppo.
Ma, come sempre, non tutti i mali vengono per nuocere.
Ora, per esempio, risulta chiaro perché il bilancio finale dell’Expo 2015 è stato avvolto a lungo nel mistero: a livello cassa, trattasi di flop.
E la colpa di chi è?
Beh, fate voi…
(fonte: Tv Svizzera, qui)