È stato un lungo fischio di sirene che ha attecchito mica male: il successo di Expo turboraccontato dal governo e dall’accolita degli interessati è stato uno dei fiori (di cartone) all’occhiello del governo: alla fine c’è uscito anche un sindaco dalla favola dell’Expo come simbolo dell’Italia che funziona e chissà se in queste ore proprio lui, Beppe Sala, non si sentirà tradito dall’improvviso dietrofront che arriva da Roma.
Ma andiamo con ordine. Il beneficio economico di Expo non sta nei bilanci, no: quelli, quando sono stati finalmente resi pubblici dopo un lungo tira e molla con Sala e la sua banda, dicono chiaramente che la manifestazione internazionale è stata sopra alle aspettative nelle spese sostenute e al di sotto nei visitatori previsti. I numeri lo dicono chiaramente, piaccia o no. Il presunto successo di Expo però, ci dicono da mesi gli ottimisti (per missione e servitù), starebbe tutto nella risonanza internazionale (vuoi mettere gli arresti tra dirigenti che sono finiti anche sulla stampa indiana, per dire), nell’indotto (che è ormai una mitologica presenza che sbuca quando bisogna ammorbidire i risultati finanziari) e nell’eredità dello Human Technopole (un trasloco dell’Università Statale pomposamente tradotto in inglese). Questo ci deve bastare, dicono.
C’è un problema: i soldi promessi da Renzi per pareggiare il bilancio di Expo (che è in rosso, appunto) sono spariti dalla legge di bilancio. Non c’è traccia dei 9,5 milioni di euro che servirebbero per la liquidazione della spa (che sarebbe quindi costretta a portare i libri in tribunale) e nemmeno gli 8 milioni per il trasferimento del campus universitario della Statale. Niente. Nisba. Alla fine anche il fedele collaboratore del sindaco di Milano Gianni Confalonieri (già scudiero di Pisapia) è costretto ad ammettere di essere rimasto “esterrefatto” e di avere esaurito la sua riserva di fiducia.
(il mio buongiorno per Left continua qui)