Ecco, vale la pena leggere il libro di Giuseppe Culicchia, E così vorresti fare lo scrittore. Ma sul serio e anche se non volete fare lo scrittore. Perché dentro c’è un modo di essere che può essere declinato in tutte le professioni.
Ora, dato che in Italia sono più quelli che scrivono che quelli che leggono, e ci mancherebbe visto che oggi come oggi siamo tutti creativi e non a caso in Toscana dedicano proprio alla creatività l’immancabile festival e sempre alla creatività è stato intitolato l’ultimo Salone del Libro, immagino dietro suggerimento di un creativo, forse anche tu stai per pubblicare il primo romanzo. O la prima raccolta di racconti. O la prima raccolta di poesie. O anche solo il primo racconto. O magari appena la prima poesia. Stai per farlo con la casa editrice Einaudi, firmando un contratto? Benissimo. Stai per farlo con un editore a pagamento, firmando un assegno? Malissimo. In ogni caso sappi che d’ora in poi, sia in privato sia in pubblico, potrai tirartela. Anzi no, dovrai tirartela. Se già te la tiravi prima, meglio: significa che sei naturalmente predisposto alla carriera intellettuale. Se invece non sei tipo da tirartela, vuol dire che dovrai imparare a farlo. Per come funzionano le cose nel dorato mondo delle Lettere italiane, infatti, ben presto imparerai a tue spese che solo e soltanto tirandotela verrai preso sul serio da critica, stampa, pubblico e dai famosi addetti ai lavori. Non a caso, chi pur pubblicando qualcosa non se la tira suscita sempre una grande diffidenza. Viene per così dire preso sottogamba, quando non del tutto ignorato anche da testate specializzate che in teoria dovrebbero almeno accorgersi della sua esistenza, magari recensendo il suo decimo romanzo. Chi non se la tira a dovere, peritandosi di usare non solo sulla pagina ma anche in occasione di interventi e interviste parole magari inutili e che però necessitano della consultazione del dizionario, suscita inevitabilmente commenti del tipo:
1. Ma come, ora pubblicano anche uno così?
2. Ma come si fa a pubblicare uno così?
3. Beh, se hanno pubblicato uno così, non vedo perché non dovrebbero pubblicare anche me.
4. Vorrei capire perché a uno così lo pubblicano, e a me no.
5. Il fatto che abbiano pubblicato uno così è la cartina di tornasole della decadenza della società letteraria italiana.
6. Il fatto che abbiano pubblicato uno così è la cartina di tornasole della decadenza del sistema Italia.
7. Il fatto che abbiano pubblicato uno così è la cartina di tornasole della decadenza della civiltà occidentale.
8. Il fatto che abbiano pubblicato uno così è la cartina di tornasole della decadenza del genere umano.
9. Il fatto che abbiano pubblicato uno così è la prova che Dio non esiste.
10. Certo che oggi in Italia pubblicano proprio tutti.Chi pubblicando qualcosa al contrario se la tira, non solo quando viene intervistato dai tiggì dopo aver vinto il Premio Strega o averlo perso per un voto ma anche mentre ordina un’insalata al ristorante, suscita immancabilmente un grande rispetto e una pari ammirazione, spesso accompagnati da una certa soggezione. E in genere provoca reazioni della serie:
1. E poi… scrive divinamente.
2. E poi… è così affascinante.
3. E poi… ha un gran carisma.
4. E poi… ha scritto tante di quelle frasi che a me piace sottolineare.
5. E poi… prima ha riscritto Omero, quindi ha rivisto Mozart, e infine dopo aver corretto Melville ha smontato Beethoven. Adesso, pare, dopo averci spiegato il mondo sta lavorando a un remix della Bibbia.
6. E poi… scrive editoriali lunghissimi occupandosi di pedofilia e globalizzazione e gite scolastiche e teatro molecolare e cinema quantistico e fisica coreana e meccanica napoletana e pizza sperimentale e arte della guerra e sindonologia comparata e.
7. E poi… ha detto che suo figlio di undici anni e Steve Jobs ragionano alla stessa maniera.
8. E poi… ha detto che anche se è tra i votanti del Premio Strega aveva comunque il diritto di votare se stesso al Premio Strega, e che se non ha vinto il Premio Strega per un solo voto, malgrado il suo voto, è solo perché il Premio Strega è in mano ai giochetti degli editori.
9. E poi… se n’è andato, così com’era venuto, senza salutare.
10. E poi… non ho capito bene che cosa volesse dire, ma avessi visto come lo diceva.Per tirarsela come si deve basta aver scritto e se possibile pubblicato, meglio se non a pagamento, anche solo un romanzo, o una raccolta di racconti, o al limite un singolo racconto, o perfino una singola poesia. Riguardo alle vendite, che sono non di rado il primo pensiero di chiunque venga pubblicato, anche se di norma è più elegante assumere un atteggiamento di distacco riguardo all’argomento, è sufficiente attrezzarsi. Se si è venduto bene, benissimo: significa che finalmente anche il grande pubblico ha imparato ad apprezzare le opere di qualità. Se non si è venduto granché bene, bene lo stesso: significa che il grande pubblico non è ancora pronto per apprezzare le opere di qualità ma è sulla strada per farlo. Se non si è venduto per niente bene, male: ma l’Italia, si sa, è “un paese di merda”.
Tirarsela come si deve, tuttavia, non è cosa semplice. Bisogna essere profondamente insicuri di sé e allo stesso tempo prendersi molto sul serio, tanto da arrogarsi la libertà di spiegare il mondo dall’alto della propria intelligenza a lettori e commensali, dichiarando altresì la bontà della propria poetica e sentenziando l’irrilevanza di quelle altrui, se possibile in modo così lambiccato da escludere a priori ogni seria ipotesi di chiarezza. Inoltre occorre atteggiarsi a intellettuali, e perciò vestirsi prevalentemente di nero. Ma non basta. Per tirartela al meglio dovrai perciò tenere a mente alcune regole fondamentali e applicarle sia quando vai alla toilette sia quando vincerai il Premio Strega, o lo perderai per un voto.1. Scegliere con cura i termini di paragone per quanto riguarda te stesso e la tua opera. I nomi migliori sono in assoluto quelli di Omero, Proust, Borges. Per darti un tono, cita Bolaño. Per fare sfoggio della tua cultura underground, cita Frank Miller. Per distinguerti ancora un po’ e fare sfoggio della tua trasversalità culturale, il collettivo Wu Ming. Cita sempre il compianto David Foster Wallace. Va da sé che per citare qualcuno non è necessario aver letto ciò che ha scritto.
2. A tavola con gli amici come sul palco dove stai presentando la tua opera, accenna come di sfuggita a tutta una serie di autori anche se non ti sei mai dato la pena di sfogliarli. Tra gli indispensabili: Baudrillard, Benjamin, Calvino, Deleuze, Foucault. Con Calvino in particolare si va sempre sul sicuro perché avendo scritto tra gli altri un libro intitolato Le città invisibili si presta a essere citato con grande facilità, a meno che non si sia autori di un romanzo, o una raccolta di racconti, o una raccolta di poesie, o anche solo un racconto, o appena una poesia, con ambientazione incontrovertibilmente agreste. Tra una parola e l’altra ricordati di ammiccare alla “leggerezza calviniana”. Ricordati altresì di citare il compianto David Foster Wallace.
3. Specie quando non sai che cosa dire, devi avere l’aria di soppesare con cura non solo le frasi ma anche le singole parole. In ogni caso, parla molto, molto, molto lentamente, anche per apprezzare fino in fondo il suono della tua voce. Cerca di imitare quella del compianto David Foster Wallace, anche se a dire il vero non l’hai mai sentita.
4. Ravvivati spesso i capelli. In assenza dei medesimi, punta tutto sullo sguardo. Uno sguardo alla David Foster Wallace.
5. Smetti di salutare. Chi? Tutti, tranne i critici che contano e i colleghi da cui ti aspetti una recensione positiva per l’ultimo libro che hai pubblicato visto che hai recensito positivamente il loro ultimo libro. Ricordati anche di salutare il tuo editore così da potergli telefonare a maggio per sollecitare il pagamento dei diritti eventualmente spettanti. Digli che comunque lo faceva anche il compianto David Foster Wallace.
6. Anche se stai cucinando una semplice pasta in bianco, approfittane per spiegare il mondo a partire da una semplice pasta in bianco a chiunque in quell’istante sia presente in veste di pubblico: mogli, figli, amici, gatti eccetera. Pare che anche il compianto David Foster Wallace amasse cucinare, del resto.
7. Accetta tutte le interviste, anche quelle sull’autenticità della Sindone o sugli ultimi sviluppi della politica siciliana, dando risposte a un tempo trasversali e apodittiche (avendo cura di accertarti, prima di darle, del significato del termine “apodittiche”). Nelle interviste, infila sempre il nome del compianto David Foster Wallace.
8. Partecipa a tutti i dibattiti di tutti i festival, da quello sulla spiritualità a quello sulla matematica, spiegando il mondo al pubblico. Ricordati di presenziare al dibattito vestito di nero da capo a piedi. Rammaricati per la scomparsa precoce del compianto David Foster Wallace.
9. Spara a zero sulla televisione. Ma fai di tutto per andarci, ovviamente a Che tempo che fa di Fazio ma anche a Ciao Darwin di Bonolis. Millanta di avere scoperto il compianto David Foster Wallace prima di chiunque altro.
10. Protesta con chi di dovere perché nella stanza all’Hotel Le Méridien, il cinque stelle del Lingotto, dove sei sceso in occasione del Salone del Libro non hai trovato i cioccolatini in omaggio visti nelle mani di altri autori anche meno famosi di te. Di sicuro comunque non se li è presi il compianto David Foster Wallace.Poi certo devi tirartela, oltre che in privato davanti allo specchio magari provando e riprovando gli sguardi e le posture e i gesti più adatti, e in pubblico sopra un palco, anche in Rete, digitando su una tastiera, cosa che com’è noto si può fare anche in mutande. Prima di accendere il computer occorre però prendere atto che il Web è almeno in ambito letterario il regno assoluto del narcisismo, e che malgrado ivi abbondi il guano (lo sostiene Wu Ming 1 ed è obiettivamente difficile dargli torto), se vuoi passare per uno scrittore autorevole dovrai partecipare a più forum incentrati sul dorato mondo delle Lettere e sulle ricorrenti polemiche in merito a questa o quella presa di posizione di questo o quell’autore in merito a questo o quell’argomento, si tratti della possibilità di scrivere non più dopo Auschwitz ma dopo lo “spettacolare” attentato dell’11 settembre, di aderire o meno al manifesto letterario del momento, di sottoscrivere l’ultima raccolta di firme, ironizzando su chi usa a sproposito termini come “enallage” o “ipallage” e facendo notare en passant il fatto di aver discusso la propria tesi di laurea con Umberto Eco o comunque a Bologna. Non solo. Tieni a mente che occorre ribadire la propria esistenza approfittando di ogni occasione di visibilità digitale, si tratti di intrufolarsi in una discussione sul nazismo vero o presunto degli gnomi di Tolkien o di partecipare a un dibattito sul caso del fantomatico capitolo mancante di Petrolio di Pasolini o di esprimere solidarietà a Saviano malgrado l’invidia per il numero di copie vendute, medicata solo in parte dal fatto che Saviano vive sotto scorta da anni. Che si tratti di una discussione o di un dibattito, l’essenziale è rimarcare con ogni mezzo la propria superiore intelligenza e cultura ed erudizione, così da consolidare almeno virtualmente il proprio prestigio e quindi la propria carriera intellettuale senza badare al fatto che il fatturato di tutta l’editoria italiana è comunque inferiore a quello non della Ferrero ma di un singolo prodotto della Ferrero ossia della Nutella, anche se così facendo è facile trasformare il tutto in un litigio con gli altri partecipanti al dibattito o alla discussione, perché ciascuno è lì per rimarcare le proprie e consolidare eccetera. Salvo poi dirsi disgustati, a cena con gli amici o in veste di opinionisti su un qualche quotidiano, dalle risse televisive e dalla barbarie degli ultras.