Ho parlato forse anche troppo spesso del federalismo, del federalismo della responsabilità che morde questo tempo e credo che lo farò ancora a lungo; questo stato sociale e culturale che vorrebbe essere una comunità ma non ne ha più gli strumenti mi spaventa più della voce alta di qualche prepotente. Credo (e anche questo l’ho ripetuto allo sfinimento) che soprattutto il nord abbia colpe gravissime nello sgretolamento di una solidarietà etica e buona che è stata vista per anni come una debolezza insopportabile. Un Paese disunito difficilmente supera un collasso se non riesce a costruire collettività. E per costruire una collettività bisognerebbe individuare i bisogni comuni. E per trovare bisogni comuni bisognerebbe coltivare una capacità di critica accessibile a tutti. Quindi uguaglianza direi.
Insomma il tema sembra sofisticato ma doveroso, penso. Ne parla Vittorio Andreoli intervistato su HP:
“L’individualismo spietato. E badi che ci tengo a questo aggettivo. Perché un certo individualismo è normale, uno deve avere la sua identità a cui si attacca la stima. Ma quando diventa spietato…”.
Cattivo.
“Sì, ma spietato è ancora di più. Immagini dieci persone su una scialuppa, col mare agitato e il rischio di andare sotto. Ecco, invece di dire “cosa possiamo fare insieme noi dieci per salvarci?”, scatta l’io. Io faccio così, io posso nuotare, io me la cavo in questo modo… individualismo spietato, che al massimo si estende a un piccolissimo clan. Magari alla ragazza che sta insieme a te sulla scialuppa. All’amante più che alla moglie, forse a un amico. Quindi, quando parliamo di gruppo, in realtà parliamo di individualismo allargato”.
E’ interessante provare a ripartire da qui.