Eccoci qui, a un anno esatto dall’introduzione del tanto decantato “supporto formazione e lavoro”, l’ennesima panacea del governo Meloni per risolvere il problema della disoccupazione. Di questo strumento miracoloso sappiamo praticamente nulla. Mentre il Reddito di cittadinanza veniva costantemente messo sotto la lente d’ingrandimento, accusato di ogni male possibile, il suo sostituto naviga nell’oblio più totale. La trasparenza tanto sbandierata si è persa nei meandri della burocrazia, o forse qualcuno ha deciso che meno si sa, meglio è. I numeri parlano chiaro: 96.161 beneficiari in dieci mesi. Un risultato che fa impallidire persino il tanto criticato Reddito di cittadinanza. Il vero capolavoro è l’assenza totale di dati su quanti abbiano effettivamente trovato lavoro.
La ministra Calderone si vanta di 11 mila assunzioni, ma da gennaio è calato il silenzio. I numeri non sono così lusinghieri come si vorrebbe far credere. Ci raccontano che la povertà è in calo, ma l’Istat ci svela che il “supporto formazione e lavoro” non ha contribuito minimamente a questo risultato. Anzi, ha persino peggiorato la distribuzione dei redditi. Un capolavoro di inettitudine, non c’è che dire. Il colpo da maestro è la spesa: 107,6 milioni di euro in nove mesi, contro i 122,5 milioni previsti per il solo 2023. Un risparmio che fa gola al governo, certo, ma sulla pelle di chi sta cercando disperatamente di sbarcare il lunario. In questo teatro dell’assurdo, l’unica certezza è che il governo Meloni ha creato un mostro burocratico ancora più opaco e inefficace del suo predecessore. Un bluff colossale. Solo che a questo giro gli indignati tacciono.
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