Pubblicamente si minimizza, ma tra i corridoi del Parlamento europeo la tensione è palpabile. L’European Public Prosecutor’s Office (Eppo) ha aperto un’indagine che potrebbe far tremare il più grande gruppo parlamentare europeo: il Partito Popolare Europeo (Ppe).
Al centro dell’inchiesta c’è la campagna elettorale del 2019 di Manfred Weber, figura di spicco della politica brussellese e leader del Ppe. Come in un romanzo di Graham Greene, dove nulla è come appare, gli investigatori stanno seguendo le tracce di un intricato sistema di pagamenti che coinvolge tre alti funzionari della campagna di Weber.
La polizia belga, che lavora a stretto contatto con l’Eppo, sta indagando su un possibile doppio gioco finanziario: i tre indagati potrebbero aver ricevuto contemporaneamente compensi sia dal partito Ppe – l’organizzazione ombrello che riunisce i partiti conservatori nazionali – sia dal gruppo parlamentare Ppe. Un dettaglio non da poco, considerando che i fondi del gruppo parlamentare provengono dalle tasche dei contribuenti europei e non possono essere utilizzati per le campagne politiche.
Il doppio gioco dei fondi europei?
Il documento della polizia belga, visionato da alcuni giornalisti di Politico, parla di accuse pesanti come macigni: “falsificazione di documento pubblico”, “falsificazione di documenti pubblici da parte di un funzionario nell’esercizio delle sue funzioni”, “abuso di fiducia”, “frode” e “corruzione pubblica”. Parole che rimbombano come tuoni nei corridoi apparentemente tranquilli del Parlamento europeo.
Weber, che già incassa un doppio stipendio – 8.000 euro netti al mese come europarlamentare più 14.120 euro come presidente del Ppe – non figura tra gli indagati. Ma l’ombra di questa indagine si allunga sulla sua leadership in un momento particolarmente delicato, mentre si prepara a riformare il partito nei prossimi mesi.
La pratica di trasferire personale dalle istituzioni alle campagne elettorali è diventata quasi una consuetudine a Bruxelles. Lo stesso staff di Ursula von der Leyen ha seguito questo copione per la sua campagna 2024. Ma questa volta qualcosa potrebbe essere andato storto, e gli investigatori vogliono vederci chiaro.
Ppe, un’ombra sulla leadership di Weber
Il Ppe si difende con la fermezza di chi si sente sotto assedio: “Non siamo stati contattati dall’Eppo, né dalle autorità belghe, né da altre forze dell’ordine”, dichiarano in un comunicato. Sostengono di imporre “standard rigorosi nell’implementazione del proprio budget” e di sottoporsi volontariamente a controlli per garantire la conformità.
Ma c’è qualcosa di più profondo in questa vicenda, qualcosa che va oltre i tecnicismi delle indagini finanziarie. È il racconto di un’Europa che si trova ancora una volta a fare i conti con la trasparenza dei suoi meccanismi di potere, con quella sottile linea che separa la politica dall’amministrazione, il lecito dall’illecito.
L’indagine arriva in un momento cruciale per il Ppe, mentre il partito si prepara alle prossime elezioni europee e Weber affronta contestazioni interne sulla sua gestione. In un gioco di specchi l’indagine alimenta le contraddizioni di un’istituzione che si vuole trasparente ma che spesso si trova invischiata in zone d’ombra.
Nessuno è stato formalmente accusato, ricordano gli investigatori. Ma nell’aria di Bruxelles si respira già il profumo acre dello scandalo, mentre gli uffici dell’Eppo continuano il loro lavoro meticoloso, cercando di districare i fili di questa complessa matassa finanziaria che potrebbe rivelare molto più di quanto appaia in superficie.
Se l’indagine dovesse formalizzarsi in un’accusa, a farne le spese, si può stare certi, sarà ancora la credibilità dell’istituzione europea. Con grande giubilo dei sovranisti di ogni latitudine.
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