Dimenticate qualsiasi dibattito sulla strategia militare o diplomatica, dimenticate qualsiasi obiezione di natura realmente politica: come accade ogni sei mesi il presidente ungherese Viktor Orban blocca la creazione del Fondo di assistenza per l’Ucraina che dovrebbe finanziare le forniture di armi a Kyiv per 7,7 miliardi. È il solito Orban, che esiste quando riesce a far fallire le feste, come nel celebre film di Sorrentino, quello che andrà in scena oggi e domani a Bruxelles costringendo l’Unione europea a non licenziare il fondo inserito nella European Peace Facility. Eppure ci sarebbe un accordo politico già stretto, ma i patti sottoscritti da Budapest rischiano di rivelarsi parole al vento.
Orban si rimangia la promessa di aiuti firmata a marzo
L’accordo politico risale al 18 marzo, quando l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e per le politiche di sicurezza, Josep Borrell, aveva chiesto di accelerare i tempi per ovviare ai ritardi accumulati dagli Usa. L’accordo degli stati membri prevedeva 5 miliardi di euro da aggiungere ai 2,7 miliardi recuperati dalle sanzioni.
Due giorni dopo alla Camera la premier Giorgia Meloni in occasione delle sue comunicazioni al Parlamento prima del Consiglio europeo aveva sottolineato come, tanto per Orban che per Salvini, ciò che conta sono “le decisioni e i voti”, rivendicando il patto sottoscritto anche dal premier ungherese appena due giorni prima. Gli osservatori internazionali furono stupiti dall’assenso concesso dal governo ungherese con l’unica condizione che la sua quota fosse utilizzata solo per armi a scopo difensivo. Ora si scopre che lo stupore era giustificato.
Dal primo luglio l’Ungheria guiderà per sei mesi il Consiglio europeo
Ufficialmente l’Ungheria lamenta l’inclusione della sua banca Otp nell’elenco dei fiancheggiatori russi stilato da Volodymyr Zelensky . Otp opera effettivamente in Russia e nei territori occupati ma il presidente ucraino su pressioni dell’Ue ha accettato di depennare l’istituto dalla lista. Ora l’accusa di Orban s’è fatta ancora più fumosa: “Le imprese ungheresi sono boicottate dal governo ucraino”, dice.
Il copione sarà presumibilmente quello già visto a dicembre dell’anno scorso: l’Ungheria lascerà cadere il veto quando l’Ue sbloccherà per l’ennesima volta i suoi fondi per il paese membro che ora sono bloccati per le ripetute violazioni sullo Stato di diritto del governo di Budapest.
Torna in auge anche il piano a cui l’Europa aveva pensato in occasione della paralisi provocata dal Orban alla fine dell’anno scorso ovvero utilizzare l’articolo 7 del trattato europeo che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Unione europea (come il diritto di voto in seno al Consiglio dell’Unione europea) qualora un paese violi gravemente e persistentemente i principi su cui si fonda l’Ue. Ma la vicinanza delle elezioni europee e la prevista crescita dell’ala sovranista nel Parlamento europeo consigliano di evitare strappi.
La trattativa sotto traccia sullo sblocco dei fondi verso l’Ungheria resta la strada più probabile. Ma dal primo luglio sarà proprio l’Ungheria a guidare il semestre con la presidenza di turno del Consiglio europeo e a quel punto il gioco al rialzo di Budapest nei confronti dell’Ue sarà ancora più facile. Sullo sfondo Putin sorride.
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