«Capita a tutti l’occasione di essere giusti». E’ ciò che racconta Giulio Cavalli nel suo romanzo Mio padre in una scatola da scarpe, edito da Rizzoli. Pagine scritte con impeto senza la consueta sete d’inchiesta, ma solo per narrare quello che accade a molti degli eroi dei giorni nostri tra umanità, omertà e bullismo.
Com’è nato quest’ultimo lavoro?
«E’ partito tutto quando ho conosciuto la figlia di Michele Landa la persona da cui nasce il racconto. Michele era un metronotte di Mondragone al quale è capitato di scontrarsi con una realtà come l’omertà che vale per il suo paese e per tutta Italia, contrariamente alla teoria che il buon padre di famiglia non deve infilarsi in situazioni pericolose. Michele è stato ritrovato ucciso nella sua auto, a pochi giorni dalla pensione. Lui è una vittima come ce ne sono tante altre, ma questa morte assume un significato simbolico enorme».
Quale?
«A tutti noi capita l’occasione di essere giusti nella vita. Lui ha scelto di essere giusto nella sua straordinaria normalità. Io penso che questo sia un paese che ha bisogno di innamorarsi dei fragili e bisogna ricominciare a capire che le persone hanno il diritto di avere paura».
Che cos’ha di diverso rispetto a tante storie che hai raccontato in passato?
«La differenza è che su questa non abbiamo scopi giornalistici, non ci interessa dire come sia stato ucciso o altro, questo è un romanzo, quello che avrei voluto e dovuto scrivere dieci anni fa. Invece ci sono state le minacce in una città come Milano e quindi io ho dovuto difendermi e nell’eccesso di difesa mi sono incattivito e adesso è come se avessi deciso di tornare al mio mestiere, non fare l’inchiesta ma prendere le temperature emotive della gente».
Il bavaglio andrebbe abolito fin dalla tenera età?
«Questo libro parla di mafia, ma anche di prevaricazione. Il fatto che ci siano ragazzi così giovani che sappiano, anche meglio di un pezzo di classe dirigente italiana, che le prevaricazioni sono quotidiane soprattutto nei luoghi dove si fa socialità, penso sia un motivo per essere ottimisti».
Quindi c’è speranza per il futuro?
«Da una parte c’è la cronaca abbastanza desolante, dall’altra penso che questo sia un Paese ricchissimo di valore umano. Dobbiamo uscire da questa cultura distorta degli ultimi dieci anni, di cui anch’io magari sono stato causa, uscire dalla logica che ogni battaglia abbia bisogno di paladini senza macchie. Alla fine abbiamo lasciato indietro le cose importanti. Io ho conosciuto fragilità meravigliose che in realtà mi hanno aiutato più delle scorte armate».
Manuela Sicuro (fonte)