DA LEFT di SIMONA MAGGIORELLI
Andreotti non è stato assolto. “Ma in Italia la parola prescrizione viene scambiata per assoluzione”. Denuncia lo scrittore e attore Giulio Cavalli. Che nel libro L’innocenza di Giulio ricostruisce i rapporti fino al 1980 fra il senatore e la mafia. Intano la gestione andreottiana del potere, con rapporti pericolosi con malavita e lobbies, ha fatto scuola in Italia
Vero è che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani è convinta (in perfetta buona fede, perché questo le è stato fatto credere con l’inganno) che Andreotti sia innocente. Di più: vittima di una persecuzione», scrive Gian Carlo Caselli nella prefazione al libro di Giulio Cavalli L’innocenza di Giulio.Andreotti e la mafia(Chiarelettere).
Un testo che ha il merito di raccontare in modo puntuale come sono andate veramente le cose, riportando in primo piano il fatto che «l’imputato fu dichiarato responsabile del delitto di associazione a delinquere con Cosa nostra per averlo commesso fino al 1980», per dirla ancora con le parole di Caselli che, come capo della procura te dell’opinione pubblica italiana».
Anche per questo, per «un dovere di civile di ripristinare la verità storica» l’autore de L’innocenza di Giulio sta viaggiando in lungo e in largo per la penisola presentando il libro con intellettuali e magistrati, cercando di stimolare un pubblico dibattito:( il 29 al festival del giornalismo di Perugia con Caselli e il 30 a Milano con l’avvocato Umberto Ambrosoli, figlio di quel Giorgio Ambrosoli che si trovò ad indagare sulla banca di Sindona e che non si piegò ai ricatti. Per questo fu ucciso nel 1979.
Nel frattempo, per raggiungere un pubblico ancora più vasto, L’innocenza di Giulio è diventato anche uno spettacolo teatrale. In scena Cavalli ingaggia un serrato corpo a corpo con il “Divo Giulio” che, a mani giunte, giganteggia nella scenografia alle sue spalle. Accanto alla verità processuale sul palcoscenico si concretizza l’ombra non di uno statista, bensì di un «uomo dalla tiepida umanità», capace di battute agghiaccianti, come quella volta che, intervistato sull’assassinio di Ambrosoli ebbe a dire «se la è andata un po’ a cercare». «Nello spettacolo ho inserito alcune di quelle funeree battute che Andreotti era solito fare; espressioni feroci, per esempio, verso il generale Dalla Chiesa, che lasciano senza fiato»
. Il teatro dunque come un’altra faccia di quell’impegno civile, come tramite artistico per fare informazione in modo pio. Accanto alla verità processuale sul palcoscenico si concretizza l’ombra non di uno statista, bensì di un «uomo dalla tiepida umanità», capace di battute agghiaccianti, come quella volta che, intervistato sull’assassinio di Ambrosoli ebbe a dire «se la è andata un po’ a cercare».
«Nello spettacolo ho inserito alcune di quelle funeree battute che Andreotti era solito fare; espressioni feroci, per esempio, verso il generale Dalla Chiesa, che lasciano senza fiato». Il teatro dunque come un’altra faccia di quell’impegno civile, come tramite artistico per fare informazione in modo più intenso ed efficace.
«Penso che serva un linguaggio nuovo. Ma anche che sia venuto il tempo di fare una storia dell’antimafia pop», chiosa Cavalli, con un pizzico di provocazione. «Ma autenticamente pop, ovvero popolare. Non credo che la pericolosa perdita di memoria e di partecipazione che attanaglia l’Italia abbia bisogno solo di un nuovo Pier Paolo Pasolini, di intellettuali profeti. Penso piuttosto che sia necessario parlare semplice e chiaro perché la gente possa farsi autonomamente la propria opinione».