E’ brutto dover parlare di un artista e di uno spettacolo in termini di “sicurezza e ordine pubblico”. Giulio Cavalli, attore e regista lombardo, dal 2006 vive sottoscorta, proprio come Roberto Saviano. Aveva presentato uno spettacolo Do ut des che metteva in ridicolo i riti e i vezzi della mafia siciliana, in particolare dei mafiosi di Gela. Il risultato lo racconta lo stesso Cavalli: ” Mi sono cominciate ad arrivare lettere anonime, dopo un po’ mi sono trovato il mio nome nel muro sotto il mio ufficio al centro del disegno di una bara. Le minacce sono poi proseguite negli anni via via fino a una escalation che si è fatta più preoccupante e che arriva a pochi mesi fa”.
Oggi Giulio Cavalli vive accompagnato da una scorta, ma non ha smesso di fare spettacoli. “La vicenda personale è diventata tutt’uno con il teatro e così mi son detto se mi sfidate non mi limito a fare un attacco sul vostro costume, voglio capire chi siete”.
Ed ecco il nuovo spettacolo che Giulio Cavalli presenta da domani al Teatro della Cooperativa di Milano, un piccolo e agguerrito teatro diretto da Renato Sarti, in pochi anni diventato un luogo di impegno e dibattito civile. Lo spettacolo (è in scena fino al 18 ottobre) si intitola A cento passi dal Duomo scritto da Cavalli con il giornalista Gianni Barbacetto e le musiche di Gaetano Liguori ed è una ricognizione sulle diramazioni economiche, sociali e politiche della mafia in Lombardia: le famiglie mafiose al nord, con nome e cognome, i loro affari, la collusione con la politica e le infiltrazioni nei gangli di potere.
“Lo spettacolo – racconta Cavalli- riparte dalle famiglie gelesi e arriva a quelle della ‘ndrangheta. Ma quello che a me interessa è soprattutto scalfire l’atteggiamento di una intera classe politica regionale che nega di essere stata intaccata dal fenomeno mafioso. Ci dimostri che non faranno entrare la criminalità organizzata nell’Expo del 2015 e ci dicano come faranno, ci dicano che dopo Ambrosoli, Sindona, Gardini hanno imparato come liberarsi della mafia e delle sue infiltrazioni altrimenti è bene sapere che siamo di fronte a un grande inganno culturale. A Cento passi dal Duomo fa suo il grido di allarme del procuratore generale antimafia, Vincenzo Macrì che nel 2008 ha affermato che “Milano è oggi la vera capitale della ‘ndrangheta” e, tuttavia, la politica sembra non accorgersene”.
Questo sentiremo in scena. Ma fuori scena? Come vive un artista da “controllato”? “Con la scorta convivo con traquillità, non ho perso il sorriso. Tranne quando certi esponenti della destra mi parlano di savianite che contagia gli artisti. Perchè non chiedono a magistrati come Caselli da trent’anni sotto scorta cosa pensano i loro figli?”
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