In occasione della chiusura del programma “In viaggio con la Mehari”, tenutosi al Pan di Napoli, intervenuto l’attore Giulio Cavalli, sotto scorta per il suo impegno antimafia e di recente minacciato per l’ennesima volta, con il ritrovamento di una pistola carica nel giardino antistante la sua casa di Roma.
L’appuntamento a cui hai partecipato serve a ricordare Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra nel 1985. Quanto è importante ricordare figure come la sua e quelle delle altre vittime di mafia?
“L’importante è che sia un ricordo vivo, quindi che sia un’azione. Secondo me il paradigma di Giancarlo Siani è tutto nel voler analizzare, e non solo indignarsi, di fronte al fenomeno camorra, e quindi studiarlo, e soprattutto semplificarlo per renderlo fruibile a tutti. Oggi servirebbero cento Giancarlo Siani per far sì che la mafia e l’antimafia non rischino di diventare degli argomenti troppo endogamici, troppo intellettuali e poco fruibili”.
Quanto è importante, secondo te, il riutilizzo dei beni confiscati?
“Bisognerebbe aprire il dibattito e riconoscere che l’agenzia nazionale dei beni confiscati non funziona. Riconoscere che finché non risolviamo i problemi dei rapporti con gli istituti bancari, e le colpe degli istituti bancari, su eventuali mutui sui beni confiscati. E ci vorrebbe un po’ meno buonismo e più sana amministrazione. L’antimafia si fa con una buona amministrazione. Non si fa con gli attori teatrali o con gli scrittori. L’importante è non vendere i beni confiscati e io spero che ancheRoberto Saviano si ravveda quanto prima su questo“.
Lo scorso 5 ottobre saresti dovuto essere a Napoli, al Nuovo Teatro Sanità, per il tuo spettacolo “L’innocenza di Giulio. Andreotti non è stato assolto”. Appuntamento saltato per l’ennesima minaccia ricevuta. Quanto è importante, in questo Paese, il teatro civile?
“È importante per la mia piccolissima e umilissima parte. Un Paese non si salva con gli scrittori civili. Non si salva con gli attori civili. Questo è un Paese che si salva con i contadini civili, la mamme, i fratelli maggiori. Non credo che ci sia un’arma più potente delle altre. Credo che ci debba essere una rete. Forse quello che lascia perplessi è che la criminalità è molto organizzata, mentre l’antimafia molto meno”.
La criminalità è molto organizzata anche perché molto spesso va a braccetto con la politica?
“Un altro passo importante sarebbe quello di smetterla di dividere i buoni e i cattivi in un mondo in cui le zone di grigio sono tantissime. Le semplificazioni le trovo sempre pericolose. La magistratura e le istituzioni buone. I mafiosi cattivi. Tutto quel mondo che c’è in mezzo è quello che a me spaventa molto di più. A me fa molto più paura un prefetto inconsapevole che uno ‘ndranghetista armato”.
Tu dicevi che spesso l’antimafia e poco organizzata. A volte, è più un’antimafia di facciata. Cosa ne pensi?
“Due cose mi preoccupano. Una è l’antimafia che non fa nomi, ed è un’antimafia con troppa buona educazione, che non mi appartiene e non fa per me. La seconda è che noi siamo abituati a degli ambienti antimafiosi che sono solidali solo con i propri sodali, e antropologicamente questa è proprio la solidarietà tipica del clan. Serve un’antimafia un po’ più aperta, senza padroni, più libera, nel senso vero della parola”.
Passando al teatro. Dove ci sono i giovani con maggiori prospettive in questa professione?
“Io penso che la vitalità di questo Paese dal punto di vista teatrale sia tutta nel sud. Lo raccontano anche i successi di questi ultimi anni. Penso alla vitalità della Puglia, alla vitalità stessa della Campania. Ci sono solo due categorie che ascoltano solo quando si parla di loro: gli attori e gli antimafiosi. Quindi puoi immaginare un attore antimafioso come sia pericoloso al cubo”.
(dall’huffington post)