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Nelle stanze del Pd lo danno come certo: qualunque sia il risultato delle prossime elezioni del 25 settembre a Enrico Letta stanno preparando la resa dei conti. Scottano troppo le scelte sulle candidature e brucia il ridimensionamento di Base riformista, la corrente degli ex renziani messa in piedi da Luca Lotti e Lorenzo Guerini.
Nelle stanze del Pd lo danno come certo: qualunque sia il risultato delle prossime elezioni a Letta stanno preparando la resa dei conti
Ora che Lotti è stato escluso dalla corsa (sfruttando l’ostilità espressa dal suo territorio) Guerini è l’unico vero cavallo di Troia a cui ci si può affidare. Il ministro alla Difesa era già finito sotto accusa nelle ore più calde della chiusura delle liste per non esser stato capace di difendere i “suoi” con Letta. Oltre all’accusa di essersi troppo occupato dell’ingresso in coalizione di Luigi Di Maio (sarebbe più corretto dire: del seggio garantito per l’ex M5S).
Il messaggio dei libdem (la corrente che si definisce liberal-democratica all’interno del Partito democratico) è chiaro: “Senza i liberal-democratici, il Pd rischia di tornare semplicemente il Pds, e sarebbe un ritorno al passato”, ci dice uno di loro e il fatto che sia lo stesso concetto che da giorni esprime Matteo Renzi per attaccare Letta rende plasticamente visibile quanto gli ex renziani siano ancora in sintonia con il loro ex segretario.
Dall’altra parte qualcuno esulta comunque vada. “Perderemo le elezioni ma almeno avremo un gruppo parlamentare che segue Letta, a sua immagine e somiglianza”, dice un esperto senatore. Il concetto l’aveva già espresso Goffredo Bettini qualche mese fa: c’è bisogno di scrollarsi di dosso una classe dirigente che risale a Renzi e che troppo spesso è sulle posizioni di un leader (ora) di un partito concorrente.
La campagna elettorale dei democratici continua ad apparire troppo schiacciata su Giorgia Meloni
Fuori, nel Paese, la campagna elettorale dei democratici continua ad apparire troppo schiacciata su Giorgia Meloni, con il partito incapace di dettare l’agenda del dibattito. La scelta, fin dall’inizio, di polarizzare il dibatti per escludere gli altri partiti (che è alla base della decisione di Letta di confrontarsi eventualmente solo con la leader di Fratelli d’Italia) rischia di essere un boomerang.
Solo di Meloni si sono occupati la senatrice del Pd Simona Malpezzi (“La scelta delle parole svela molto di chi le pronuncia: potrà fare la finta moderata per le cancellerie internazionali, ma Giorgia Meloni rimane sempre questa. Il suo vero volto è quello del comizio di Vox”, ha detto a proposito della metafora meloniana del “clandestino che batte la signora violentata”), la responsabile Pari Opportunità nella Segreteria Pd e Portavoce della Conferenza delle Donne democratiche Cecilia D’Elia, la Capogruppo del Pd alla Camera dei Deputati Debora Serracchiani (“Non è solo volgarità verbale: è lo specchio di chi recita moderazione e pratica intolleranza. La violenza contro le donne non ha scuse, attenuanti, ragioni”) e quasi tutte le donne candidate.
Letta intanto insiste nel dire che “la destra non ha già vinto” più per spronare i suoi che per una reale convinzione. “Quanto agli esiti già scritti, – ha detto ieri Letta – la storia anche recente è piena di risultati elettorali inattesi, di ribaltamenti, di sorprese, di spinte non fotografate dai sondaggi”.
Una notizia minore però rende l’idea dell’aria interna. Ai candidati è arrivata la richiesta dal Nazareno di usare la faccia di Enrico Letta da inserire nel proprio materiale elettorale. Alcuni (molti più del previsto) hanno declinato l’invito facendo presente che perderebbero voti. Aspettando il giorno dopo le elezioni.
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