(il reportage di Gabriella Cerami per HP)
La giornata della disillusione. Si cammina nervosamente nella fredda sala d’attesa del pronto soccorso di Pescara. Si cammina, ci si abbraccia, si prega, ci si dispera. È proprio l’attesa, questa lunga ed estenuante attesa, che unisce ormai da oltre settantadue ore i parenti delle persone sommerse dalla slavina che ha colpito l’hotel Rigopiano. Il papà di Stefano Faniello, con un berretto blu in testa e circondato dagli amici, piange mentre varca la porta per incontrare i medici. Piange perché il nome del figlio ieri sera compariva nella lista ufficiale delle persone vive da estrarre dalle macerie. Oggi sarebbe stato il giorno dell’abbraccio e invece di Stefano non si hanno notizie. La fidanzata Francesca Bronzi, salvata ieri, dal suo lettino del reparto chiede di lui: “Mia figlia sta bene ma vuole sapere di Stefano”, racconta il papà Gaetano, felice di avere Francesca accanto sana e salva ma con questo senso di angoscia. L’angoscia di chi si era illuso e adesso si sente ingannato: “Com’è possibile che c’era stato detto che era vivo?”.
Lassù, a Rigopiano, si continua a scavare in condizioni avverse e con oltre cinque metri di neve. “Si continua a lavorare con grande determinazione, con grande forza, con grande professionalità e con ogni mezzo per trovare le persone che sono lì sotto. Noi continuiamo a coltivare speranza”, dice il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, dopo aver incontrato i familiari. “Arrabbiati? Hanno ragione ad essere arrabbiati, perché soffrono”, risponde. In realtà qualcosa non ha funzionato. Lo dice anche Francesca Bronzi che ha criticato, viene riferito dai parenti, “la mancanza di organizzazione e di informazioni ufficiali”. Stanca, provata, “non avevamo cibo, non avevamo acqua, mi trovavo in uno spazio piccolissimo e mangiavo la neve”, spera che sotto quella neve, diventata ghiaccio, ci sia ancora il suo Stefano, come le era stato promesso. Ma adesso, nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Pescara, dove vengono portati i sopravvissuti, lui non c’è.
Poco più in là sbuca da una porta scorrevole lo zio di Samuel: “Io devo dire qualcosa a mio nipote. Gliela devo dire”. Il bimbo di sette anni chiede di mamma e papà, che solo ieri erano stati considerati tra le persone sopravvissute e oggi invece sono di nuovo nella lista dei dispersi. Era stato il primo cittadino di Osimo, citando fonti della polizia e familiari a dare la notizia che l’intera famiglia Di Michelangelo ce l’aveva fatta. E invece si spera e si attende ancora, mentre sale la rabbia di chi non riesce ad avere notizie, e se ne ha sono poche e confuse: “Ogni quattro ore dovrebbero dirci qualcosa, e invece niente. Dov’è il prefetto?”, è arrabbiatissimo lo zio Alessandro.
Ricoverata c’è anche Giampaolo Matrone, lui è salvo, è vivo, è fuori dalle macerie. Lei, Valentina Cicioni, è ancora dispersa. Nessuno vuole dare voce al terrore che si avveri l’ipotesi peggiore. La speranza dà forza ad amici e parenti della coppia trentenne di Monterotondo, hinterland romano, che martedì scorso aveva lasciato la figlioletta ai nonni per cercare un po’ di relax tra i monti dell’Abruzzo.
Composti, silenziosi. Seduti sui gradini di questa enorme sala d’attesa ci sono una ventina di ragazzi. Circondano Piergiovanni Di Carlo, non lo hanno mai lasciano solo in questi tre giorni, ieri hanno gioito con lui, oggi sono di nuovo sconvolti e increduli. “Siamo compaesani, gli amici della piazza di Loreto Aprutino”, racconta uno di loro al bar mentre sorseggia una coca cola: “Ieri avevano detto che insieme al piccolo Edoardo si erano salvati anche la mamma e il papà, e invece…”. E invece oggi il fratello più grande ha dovuto riconoscere il corpo senza vita della mamma Nadia. Del papà Sebastiano non si hanno notizie.
E pensare che la zia Simona, ieri, aveva portato la pizza per tutti i parenti e gli amici in attesa: “Sono salvi, sono salvi, me lo hanno confermato”, ha detto a cronisti e telecamere. Il clima era diverso, gli stessi ragazzi ridevano e scherzavano, in una notte poi è cambiato di nuovo tutto e nessuno si aspettava questo epilogo. “Edoardo sta bene”, racconta ancora uno degli amici: “Ha chiesto al fratello grande, Riccardo, se può avere dei giocattoli. Vuole giocare, sta bene, forse lo ha capito, forse no”. È una barriera di protezione quella attorno a Piergiovanni, che abbassa lo sguardo a terra quando qualcuno si avvicina dicendo: “Speriamo per papà”. Gli amici si stringono tutti in un abbraccio, con al centro lui, pacche sulle spalle di incoraggiamento: “Dobbiamo aspettare domani”. Forse qualche giorno in più. Intanto tutti i parenti sono stati portati in un’altra sala dell’ospedale. Questa volta al caldo. Ancora ad attendere.