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I geni dei due estremi

I geni dei due estremi

In Italia esistono due tipi di simpatici analisti politici che anche questa mattina si alzano dal letto con qualche livido dopo le notizie che provengono dalla Francia.

I primi sono quelli che ultimamente vanno per la maggiore. Chiamano solitamente il fascismo in tutte le sue declinazioni (il post, il pre, il para, tutte le sue diverse evoluzioni) come “sovranismo” perché non hanno nemmeno il coraggio delle loro idee. Qualche settimana fa pregustavano il rovesciamento dell’Unione europea e ne sono usciti scornati. Marciavano a braccetto dichiarandosi amici per la pelle e ora a Strasburgo litigano per un tozzo di pane nel recinto dell’opposizione. Le facce di Le Pen e di Bardella in queste ore sono la fotografia della loro natura: lupi di fronte agli agnelli e poi talpe complottarde di fronte ai risultati elettorali. 

I secondi sono più godibili e anche più fastidiosi. Perdono voti ma si sentono cardine della politica  in memoria di una superiorità che si sono autoassegnati. Si fanno chiamare lib in tutte le sue forme (dem, mica dem, né di destra né di sinistra, poli che che esistono nei manifesti elettorali) e vedono antisemiti dappertutto, rivendicando una supremazia intellettuale che ha più profeti che elettori. Irridono l’antifascismo ma si alimentano dei suoi risultati, scrivono nella bio che odiano tutti gli -ismi ma adottano l’isteria come tecnica di propaganda e di gestione dei rapporti. Per loro Melenchon e Le Pen pari sono. Per loro ieri ha vinto Macron. “Se Macron riesce a formare un governo tagliando i due estremi ha fatto un capolavoro”, scrivono da ieri. Non conoscono la matematica, eppure sono tutti economisti, perfino gli uscieri. Odiano gli altri populisti perché vogliono essere gli unici. Ogni volta vanno a letto convinti di avere vinto tutte le elezioni dell’orbe terraqueo. Mitici. 

Buon lunedì. 

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