Li chiamavano «I napoletani della Tuscolana»: avevano messo su un’organizzazione caratterizzata dall’integrazione tra personaggi di origine campana e noti criminali romani tanto da poter essere considerata una realtà autoctona che si avvaleva però della connotazione camorristica del suo capo, Domenico Pagnozzi, e di alcuni affiliati per poter accrescere la propria forza intimidatrice nella Capitale. I Carabinieri stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 61 persone, a conclusione di un’indagine che ha portato all’individuazione di un’organizzazione per delinquere di matrice camorristica operante nella zona sudest di Roma. Arresti e perquisizioni sono in corso in varie località di Roma e provincia, Frosinone, Viterbo, L’Aquila, Perugia, Ascoli Piceno, Napoli, Caserta, Benevento, Avellino, Bari, Reggio Calabria, Catania e Nuoro. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce, commessi con l’aggravante delle modalità mafiose e per essere l’associazione armata. E ci sarebbero stati scambi di favori tra l’organizzazione e il clan di Michele Senese per compiere fatti di sangue. È quanto sarebbe emerso dalle indagini, iniziate nel 2009: tra Domenico Pagnozzi e Michele Senese ci sarebbe stato un sodalizio che non si è spezzato negli anni. Quando si dovevano compiere delitti a Roma, secondo gli inquirenti, ci sarebbe stata la «mano d’opera» che arrivava da Napoli e poi spariva dopo l’omicidio.
I legami con Carminati
E legami c’erano anche con il gruppo di «Mafia Capitale»: «Si tratta di personaggi che si conoscono, non dal punto di vista personale, e si rispettano con un riconoscimento di ruoli tra capi di gruppi che operano sullo stesso territorio». Lo ha affermato il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino, sui rapporti tra il gruppo camorristico sgominato dai Carabinieri nella capitale e il sodalizio capeggiato dall’ex Nar, Massimo Carminati. «Non c’è un tavolo di regia – ha aggiunto Prestipino – ma dalle intercettazioni si capisce che c’è contezza dell’altro e ognuno sa dell’esistenza dell’altro gruppo».
Il «Tulipano» sequestrato
C’è anche il bar Tulipano tra i beni sequestrati nel corso dell’operazione dei carabinieri E’ stato proprio il nome del locale di via del Boschetto, nel cuore del quartiere Monti, a dare il nome all’operazione.
Le attività
L’operazione è scattata a conclusione di un’indagine del Nucleo investigativo del Reparto operativo del Comando provinciale Carabinieri di Roma. Nell’ambito dell’operazione sono in corso sequestri di beni per un valore di circa 10 milioni di euro. I beni sequestrati sono riconducibili ad alcuni dei 61 arrestati. In particolare ci sarebbero numerosi esercizi commerciali e società romane, immobili, ma anche rapporti finanziari e veicoli. Per gli inquirenti il gruppo gestiva lo spaccio di stupefacenti in alcune piazze della periferia della Capitale, come Centocelle, Borghesiana, Pigneto e Torpignattara. Durante le indagini sono emerse inoltre episodi di estorsioni e gravi intimidazioni per imporre il volere del clan e per recuperare crediti usurai anche per conto di terze persone. A quanto emerso, inoltre, l’organizzazione intendeva monopolizzare anche il controllo della distribuzione delle slot machines in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana-Cinecittà. «Siamo convinti che il gruppo volesse espandere il proprio raggio di azione soprattutto per quanto riguarda le piazze di spaccio di droga». Lo ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, il generale Salvatore Luongo, durante la conferenza stampa sui 61 arresti.
I boss
L’organizzazione era capeggiata, fino al suo arresto per associazione mafiosa e omicidio, da Domenico Pagnozzi, attualmente detenuto in regime di 41 bis , condannato all’ergastolo per l’omicidio Carlino del 2001 e soprannominato «ice» per i suoi occhi di giaccio. Pagnozzi, detto «o professore», è stato condannato all’ergastolo in primo grado lo scorso ottobre perché ritenuto uno degli autori materiali del boss della banda della Marranella Giuseppe Carlino avvenuto a Torvajanica il 10 settembre del 2001. In un primo momento Pagnozzi venne scagionato per insufficienza di prove poi venne incastrato dalla prova del Dna trovata dagli investigatori su un fazzolettino di carta rinvenuto nell’auto abbandonata dai killer dopo l’omicidio. Carlino venne ucciso, secondo quanto ricostruito dalle indagini, per vendicare la morte di Gennaro Senese, avvenuta alla fine degli anni novanta, e fratello di Michele, quest’ultimo anch’egli condannato all’ergastolo e ritenuto il mandante dell’agguato che doveva ristabilire la supremazia sul territorio romano. Anche Massimiliano Colagrande, uomo vicino all’estrema destra e coinvolto nell’inchiesta «Mafia capitale» è tra i 61 arrestati dell’operazione «Camorra capitale» dei carabinieri del Comando di Roma.
Due in manette a Nuoro
Ci sono anche due cognati residenti a Nuoro fra le 61 persone arrestate nell’ambito della maxi operazione che ha smantellato un’organizzazione di matrice camorristica attiva nell’area sud-est della Capitale. I carabinieri del Comando Provinciale di Roma hanno arrestato Calogero Palumbo, di 54 anni, imprenditore di Cerignola, e il cognato Fabrizio Floris, di 46, camionista di Nuoro. I due sono indagati per traffico di droga.
Le reazioni
Il sottosegretario alla Difesa, Gioacchino Alfano, plaude «all’imponente operazione anticamorra dei carabinieri. Il mio più vivo compiacimento al Comandante Generale dell’Arma e a tutti i Carabinieri che hanno partecipato alle fasi di indagine e alle operazioni di arresto di questi malavitosi che hanno assicurato alla giustizia. E il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: «Desidero ringraziare a nome mio e dell’amministrazione regionale le Forze dell’ordine e la Magistratura per l’ottimo lavoro svolto nella lotta alla criminalità organizzata. Si tratta di un’operazione che dimostra come attuando un ferreo controllo del territorio e indagini scrupolose si possa estirpare il terreno fertile sul quale le organizzazioni mafiose tentano di mettere le radici».
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