A volte leggi alcuni suoi lampi e credi proprio che non ci sia altro da aggiungere.
LA FABBRICA DELLE SCIMMIE
di Dario Fo, il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2010
Questo tragico e grottesco accordo di Mirafiori e Pomigliano ci riporta subito al film “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin, dove si vive per la prima volta nella storia del lavoro dentro una fabbrica con catena di montaggio e assemblaggio automatizzato. Gli operai, Charlie Chaplin in testa, si muovono a ritmi stabiliti, gesti indicati dal programma in una strana danza che sembra festante, ma ha i tempi illogici di una storia di pazzi.
Subito mi viene in mente anche dell’e-sperimento condotto in un Paese dell’Oriente tecnologicamente avanzato dove, qualche anno fa, si è pensato di sostituire agli operai delle scimmie appositamente ammaestrate. Dopo un certo periodo di addestramento gestuale le scimmie vengono inserite nella produzione. I dirigenti applaudono entusiasti: gli scimpanzé funzionano che è una meraviglia. E non c’è stato neanche bisogno di far loro firmare un contratto.
E’ incredibile: non perdono un colpo, meglio dire, un automatismo. Anzi, atteggiano il volto a un sorriso straordinariamente divertito. Macchina, scimmia, ingranaggi, tempi e metodi rendono meglio che con l’uomo operaio.
Ma dopo sei giorni, se pur rispettando le pause di riassetto e l’orario di mensa, ecco che le scimmie meccanizzate cominciano a dare strani segnali sconnessi. Qualcuna ingoia qualche bullone. Altre saltano sulla catena spruzzando olio lubrificante sul muso dei caporeparto umani, quindi con una sincronia impressionante ognuna posa il proprio cranio sotto le presse che s’abbassano spietate, schiacciando le lavoratrici impazzite.
Non c’è niente da fare: all’impresa moderna sono adattabili e confacenti solo esseri umani appositamente selezionati. D’accordo, anche per i loro cervelli l’automatismo continuo produce un inevitabile marasma fisco. Si può ammorbidirlo e ritardarne quindi lo squak, allenando il cervello degli addetti a un completo distacco dall’azione fisica. Come insegna Graham, il perfezionatore di tempi e metodi nella catena di produzione, per riuscirci il soggetto operante deve distogliere ogni pensiero o ragionamento dalla vita emotiva, dall’inserto mnemonico dei sentimenti. Uscire completamente dal pensiero, dal clima delle emozioni e delle proiezioni intellettive, tipo: “Che sto facendo? Era questo il mio programma? Dove mi porta questo lavoro? Dentro che vita mi sto muovendo? E mio figlio, mia moglie, cosa sto dando loro di me? In che società sto campando, ne val la pena?” Ecco questo, ci avverte Graham, è il cancello del baratro: se lo spalanchi e ti lasci andare nel precipizio sei finito.
A ‘sto punto, torna in primo piano Charlie Chaplin, che come un automa viene risucchiato dentro gli ingranaggi della grande macchina. Anche lui pian piano si rende conto d’essere fatto di bulloni, cinghie di trasmissione, cerchi rotanti, stantuffi e trapani avvitanti.
Una voce meccanica ripete: “Chi non firma i contratti collettivi non ha diritto a rappresentanti sindacali. Chi s’ammala, per i primi tre giorni non riceve stipendio. Marchionne vi dà la vita e ve la toglie. Vi offre una nuova organizzazione del lavoro, prendere o lasciare. Cancella l’espressione ‘sindacato’ e rappresentanza. Sei dentro l’ingranaggio come in una giostra alla quale solo chi accetta di non contare può allacciarsi la cintura. La velocità di rotazione è decisa dalla produzione e tu che non ci stai sei segnato.”
A chi t’attacchi? Alla legge? Al partito della sinistra, a D’Alema, Fassino, Bersani? No, inutile. Il segretario è già uscito, non è in sede, arrangiati.
E speriamo che a sinistra ci siano ancora uomini e donne che si indignano come uomini e donne di sinistra.
(31 dicembre 2010)