“I danni dell’uomo verso il pianeta terra stanno accelerando: il 40% del nostro pianeta è ormai classificato come degradato a causa di agricoltura intensiva, urbanizzazione, cambiamento climatico, erosione e deforestazione”. Lo sostiene il rapporto annuale della Convenzione Onu contro la desertificazione (Unccd), il Global Land Outlook 2 che sottolinea come la capacità mondiale di sfamare la popolazione mondiale (in crescita) sia messa a rischio dall’aumento dei danni provocati soprattutto dalla produzione alimentari.
La terra degradata – che è stata esaurita di risorse naturali, fertilità del suolo, acqua, biodiversità, alberi o vegetazione autoctona – si trova in tutto il nostro pianeta. Non si tratta solo di aridi deserti, foreste pluviali o aree coperte dall’espansione urbana: la definizione include anche aree apparentemente “verdi” che sono intensamente coltivate o spogliate dalla vegetazione naturale.
Coltivare cibo su terreni degradati diventa progressivamente più difficile man mano che i suoli raggiungono rapidamente l’esaurimento e le risorse idriche si esauriscono. Il degrado contribuisce anche alla perdita di specie vegetali e animali e può esacerbare la crisi climatica riducendo la capacità della Terra di assorbire e immagazzinare carbonio. Per questo la qualità della terra assume un’importanza centrale per il benessere umano e il suo ripristino sia vitale per un futuro sano e prospero.
Cinque anni fa Monique Barbut, segretaria generale delle Nazioni Unite, aveva sottolineato come il degrado del suolo e la siccità fossero sfide globali “intimamente legate” alla sicurezza alimentare, alla migrazione e all’occupazione: “Man mano che la fornitura pronta di terra sana e produttiva si esaurisce e la popolazione cresce, la concorrenza si sta intensificando per la terra all’interno dei paesi e a livello globale”, spiegò.
In questo secondo rapporto (che precede la Cop15 – la quindicesima sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione che si terrà in Costa d’Avorio) si sottolinea come i maggiori danni arrivino dalla produzione alimentare che precede gli ingenti danni provocati dal consumo di altri beni come i capi d’abbigliamento.
Gran parte del degrado è più visibile nei paesi in via di sviluppo, ma la causa principale del consumo eccessivo si verifica nel mondo ricco, ad esempio nel crescente consumo di carne, che richiede molte più risorse rispetto alla coltivazione di verdure, e il fast fashion, che viene indossato brevemente e poi gettato via. Per questo, secondo il rapporto, “serve un’azione urgente” per cambiare il paradigma che ci porterà – secondo lo scenario business as usual – a un ulteriore degrado entro il 2050 di un’area grande quasi quanto il Sud America.
Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo della convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione, ha spiegato che “il degrado del suolo sta influenzando cibo, acqua, carbonio e biodiversità. Sta riducendo il Pil, influenzando la salute delle persone, riducendo l’accesso all’acqua pulita e peggiorando la siccità”.
Per Thiaw è necessario “ripensare urgentemente i nostri sistemi alimentari globali, che sono responsabili dell’80% della deforestazione, del 70% dell’uso di acqua dolce e la principale causa di perdita di biodiversità terrestre. Investire nel ripristino del territorio su larga scala è uno strumento potente ed economico per combattere la desertificazione, l’erosione del suolo e la perdita di produzione agricola. Essendo una risorsa limitata e il nostro bene naturale più prezioso, non possiamo permetterci di continuare a dare per scontata la terra”.
Ripristinare i terreni degradati può essere apparentemente semplice: occorre cambiare i metodi di coltivazione a terrazza, lasciare la terra incolta o piantare colture di copertura nutrienti, praticare la raccolta e lo stoccaggio dell’acqua piovana o piantare gli alberi per prevenire l’erosione del suolo. Solo che molti agricoltori non possono adottare queste musare a causa della pressione per produrre, della mancanza di conoscenza, della scarsa governance locale o della mancanza di accesso alle risorse.
Eppure, per ogni dollaro speso per il ripristino, l’Onu calcola un rendimento compreso tra 7 e 30 dollari in aumento della produzione e altri benefici. Per questo Thiaw ha chiesto ai governi e al settore privato di investire 1,6 trilioni di dollari nel prossimo decennio per riportare in salute circa un miliardo di ettari di terra degradata, un’area delle dimensioni degli Stati Uniti o della Cina. Ciò equivarrebbe solo a una piccola parte dei 700 miliardi di dollari all’anno spesi per sussidi all’agricoltura e ai combustibili fossili, ma salvaguarderebbe i suoli, le risorse idriche e la fertilità del pianeta.
Thiaw spiega: “L’agricoltura moderna ha alterato la faccia del pianeta, più di ogni altra attività umana. Dobbiamo ripensare urgentemente i nostri sistemi alimentari globali, che sono responsabili dell’80% della deforestazione, del 70% dell’uso di acqua dolce e della singola maggiore causa di perdita di biodiversità terrestre”. Circa la metà del Pil mondiale (44 trilioni di dollari all’anno) è messa a rischio dal degrado del suolo, secondo il rapporto.
Ma il beneficio economico del ripristino della terra degradata potrebbe ammontare tra 125 trilioni di dollari e 140 trilioni di dollari all’anno, che sarebbero circa il 50% in più rispetto ai 93 trilioni di dollari del Pil globale registrato per il 2021. E ci sarebbe la prevenzione di un terzo della perdita di biodiversità e ulteriori 83 gigatonnellate di carbonio immagazzinate.
(da La Notizia)