Bisognerebbe dire che siamo di fronte non solo a un presunto omicidio ma anche a una violenza di genere. E servirebbe una sinistra che riesca a dismettere un certo relativismo culturale per cui un femminicidio di una donna straniera passi sotto traccia
Ogni tanto capita anche a coloro che si espongono a gran voce per i diritti, quelli che abitualmente non perdono (e per fortuna) occasione di sottolineare le ingiustizie: la paura di essere inopportuni fa tralasciare alcune storie e alcune battaglie. Ci sono del resto vicende che richiedono un certo allenamento alla complessità, che non sono così nette da dividere di primo acchito le tifoserie di una parte e dell’altra, storie che rischiano di non starci nei pochi caratteri di un tweet o nei fulminanti post di Facebook che galoppano nell’algoritmo.
Così il coraggio che manca relega Saman Abbas nel cassetto degli “altri” come se fossero mondi che non abbiamo il coraggio di frequentare e nonostante sia un terribile caso di sospetto femminicidio preferiamo annacquarlo con la stupida idea di un’arretratezza che non ci appartiene, che è roba “loro”, mica roba nostra.
Saman Abbas ad esempio potremmo cominciare a chiamarla Laila, come lei aveva deciso di farsi chiamare per togliersi anche dal nome quel velo di violenza di genere che la opprimeva, comunque sia il finale di questa storia. Laila ha denunciato, ha passato mesi in una struttura protetta, aveva avuto il coraggio di ribellarsi e noi non siamo riusciti a prendercene cura. Anche questa è una storia come molte altre, indipendentemente dalla provenienza e dalla religione.
Bisognerebbe avere il coraggio di dirci che siamo di fronte non solo a un presunto omicidio ma anche a una violenza di genere. Bisognerebbe avere il coraggio (smettendola di avere paura di prestare il fianco alle destre) che queste prassi non sono giustificate né nei Paesi d’origine né dalla religione ma sono figlie della cultura del patriarcato: i matrimoni forzati e i crimini sessuali sono condannati dal codice penale anche nei Paesi d’origine. Bisognerebbe smetterla una volta per tutte con questa narrazione di donne che “vogliono diventare occidentali” con la solita boria da superiori: si tratta di donne che vogliono essere libere, che rivendicano il diritto di dire no. Servirebbe una sinistra che abbia il coraggio di dismettere un certo relativismo culturale per cui un femminicidio di una donna straniera passi sotto traccia. Davvero siamo di fronte a una sinistra con una così bassa capacità di elaborazione per cui teme di risultare razzista? Si potrebbe perfino avere il coraggio di ammettere che un caso del genere sia il risultato di una mancata integrazione (ammetterlo con onestà, senza paura) poiché i ricettori del territorio (che siano le istituzioni, la scuola, i contatti sociali) non sono stati in grado di allertare una risposta integrata. Bisognerebbe avere il coraggio di leggere i numeri dopo l’istituzione in Italia del reato di matrimonio forzato (dal 2019) che sembrano indicare poche denunce e poche risposte.
Bisognerebbe avere il coraggio di riconoscere che regalare una battaglia del genere a Salvini che vede solo stranieri da strumentalizzare significa non essere capaci di comprendere (e di spiegare) che qui si tratta di diritti umani. Quelli sono il punto.
Buon lunedì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.