Eppure sarebbe bastato accorgersi di ciò che sta è accaduto in Pakistan, dove 1.500 persone sono morte, migliaia sono gli sfollati, 83 mila capi di bestiame sono affogati nell’alluvione. Un pakistano su sette è stato colpito direttamente. «Quando tutto questo sarà finito, potremmo avere un terzo del Pakistan sott’acqua. Dopodiché si tratterà di ricostruire. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile e di consigli tecnici su come affrontare la situazione. Abbiamo bisogno di una migliore pianificazione, sostenibilità e resilienza climatica», ha spiegato la ministra per il Cambiamento climatico Sherry Rehman all’emittente turca TRT il 27 agosto scorso. Solo che qui non ne ha parlato quasi nessuno. Tra luglio e agosto, il Paese è stato colpito dalle piogge più copiose registrate dagli Anni 60 a oggi. In poco più di un mese, sulla provincia del Balochistan è caduto il 305 per cento dell’acqua che cade di solito in un anno intero. Valori evidentemente anormali. La ministra Rehman ha parlato di «distopia climatica»: «Il Pakistan non ha mai visto un ciclo ininterrotto di monsoni come questo», ha spiegato. «Otto settimane di piogge torrenziali ininterrotte hanno lasciato vaste aree del Paese sotto l’acqua. Questa non è una stagione dei monsoni normale, questo è un diluvio sotto tutti gli aspetti, che ha avuto un impatto su oltre 33 milioni di persone».
Il peso del climate change antropico
Il World Weather Attribution (un tema di scienziati che si occupa di vagliare il ruolo del cambiamento climatico antropico) scrive che «gli impatti devastanti sono stati anche guidati dalla vicinanza degli insediamenti umani, delle infrastrutture (case, edifici, ponti) e dei terreni agricoli alle pianure alluvionali, dalle infrastrutture inadeguate, dalla limitata capacità di riduzione del rischio ex ante, da un sistema di gestione fluviale obsoleto, dalle vulnerabilità di base guidate da alti tassi di povertà e fattori socioeconomici». Secondo i calcoli del World Weather Attribution, l’intensità anormale del monsone dipende, per il 50 per cento, dal climate change antropico, pur sottolineando che si tratta di stime con un margine di errore abbastanza ampio. Scrive Weather Attribution: «Guardando al futuro, con un clima di 2 °C più caldo rispetto ai tempi preindustriali, i modelli suggeriscono che l’intensità delle precipitazioni aumenterà significativamente ulteriormente, per l’evento di cinque giorni, mentre l’incertezza rimane molto grande per le precipitazioni monsoniche di 60 giorni».
Il riscaldamento terrestre può essere controllato se si agisce velocemente
Il messaggio dell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) del resto è chiaro ed esplicito. Il riscaldamento può essere controllato, e quindi i danni legati al riscaldamento climatico limitati, se si agisce velocemente a ridurre le emissioni. Abbiamo le tecnologie per farlo. Nel rapporto si segnala che il livello della concentrazione dell’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera a marzo del 2022 ha raggiunto il livello di 418 ppm (parti per milione), come possiamo osservare, ad esempio, dalle tendenze misurate dall’osservatorio NOAA di Mauna Loa, nelle Hawaii. Le ricostruzioni delle caratteristiche dell’atmosfera del passato basate su carotaggi di ghiacci della Groenlandia e dell’Antartico e su analisi dei sedimenti mostrano che occorre andare a 2,5 milioni di anni fa per trovare valori di concentrazione di CO2 così alti, al di sopra di 400 ppm. Se consideriamo gli ultimi 800 mila anni, prima del 1900 la concentrazione di CO2 è oscillata tra 180 e 300 ppm, per poi iniziare a salire verso gli attuali 418 ppm. Salgono ancora più velocemente della CO2 gli altri gas serra: il metano (CH4) ha superato 1,900 ppb (parti per miliardo) e l’ossido di diazoto (N2O) ha superato 335 ppb. L’impatto più evidente della continua crescita delle emissioni di gas serra legate alle attività umane è il continuo aumento della temperatura media globale della superficie della Terra, che oggi è circa 1,2 gradi centigradi al di sopra della media del periodo pre-industriale (tra il 1850 ed il 1900). A questo aumento medio globale corrispondono valori di riscaldamento più alti in alcune zone del Pianeta, tra cui i poli e la regione Mediterranea: per esempio, la temperatura media dell’Europa, incluso l’Italia, è circa 2,5 gradi più alta che nel periodo pre-industriale. Questo vuol dire che un ulteriore riscaldamento medio globale di 1 grado potrebbe tradursi, per la regione Mediterranea, in un ulteriore riscaldamento di almeno 3 gradi.
I politici si concentrano su bollette e prezzo del gas snobbando l’ambiente
Sarebbe bastato guardare il Pakistan per capire cosa sta accadendo anche nel nostro Paese, nelle Marche flagellate dall’alluvione. Troppo facile il cordoglio, troppo comodo. Uno studio che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia dal 21 agosto al 4 settembre ha monitorato 105 telegiornali (trasmessi in fascia prime time da Rai, Mediaset, La7), 25 puntate di talk show, 14 profili Facebook di altrettanti leader politici: i capi delle coalizioni maggiori, Enrico Letta e Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Nicola Fratoianni, Emma Bonino e Silvio Berlusconi. Ebbene il risultato è (quasi) sempre lo stesso, indipendentemente dal partito e dal format comunicativo utilizzato. L’analisi dell’Osservatorio dice che solo l’11,9 per cento delle dichiarazioni rilasciate dai leader ai principali Tg hanno a che fare con l’ambiente. E se si scende nel dettaglio, si nota che di questo 11,9 per cento appena il 6 per cento riguarda il clima e il taglio delle emissioni, mentre oltre il 92 per cento si concentra sulle politiche energetiche, le bollette, la corsa del prezzo del gas. In compenso, come accaduto per la pandemia, i complottisti e negazionisti sono già organizzatissimi.
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