Nel nostro Paese l’imposta sulle successioni è ridicola rispetto al resto d’Europa. E a essere tartassati sono sempre quelli della cosiddetta classe media, tra i 40 e i 70 mila euro di reddito. Una stortura a cui la recente legge di bilancio del governo Meloni non ha portato rimedio. Così il futuro è legato più alla fortuna di nascita che alla fatica dell’impresa.
C’è un’aria antica in Italia, quel profumo d’epoche passate in cui nascere al posto giusto significava tutto, e costruire qualcosa dal nulla era un’aspirazione eroica e ardua. Oggi, tra tasse e agevolazioni, sembra che il nostro Paese voglia dirci che non conviene più fare figli, ma conviene senz’altro essere figli di qualcuno di facoltoso. Lo studio di Marco Leonardi e Leonzio Rizzo su lavoce.info non lascia spazio a romanticismi: chi lavora e produce regge la colonna fiscale come un Atlante moderno, mentre chi eredita gode della luce indiretta di chi ha accumulato. È una stortura a cui la recente legge di bilancio non ha portato rimedio, limitandosi a scalfire appena le abitudini di sempre.
Si potrebbe ottenere un gettito di oltre 3,5 miliardi di euro
Si parla di numeri, certo, e in Italia i numeri raccontano una storia d’altri tempi: se solo l’imposta sulle successioni fosse riallineata a quella di altri Paesi europei, spostando il peso da chi lavora a chi eredita, si potrebbe ottenere un gettito di oltre 3,5 miliardi di euro. Una somma non trascurabile, capace di alleggerire il carico fiscale sui redditi medi e su quelli medio-alti, senza gravare sui patrimoni consolidati. Ma l’Italia, nella sua prudenza conservativa, preferisce rimanere ancorata alla tradizione: franchigie generose, aliquote esigue e un destino quasi roseo per chi eredita, lasciando il peso fiscale a chi non ha la fortuna di ricevere.
In Francia le successioni sono tassate 15 volte di più
Leonardi e Rizzo ci svelano le cifre dietro questa discrepanza: in Francia le successioni sono tassate 15 volte più che in Italia; nel Regno Unito e in Spagna la differenza è di oltre sette volte. Qui il nostro sistema si arrocca su un’idea di continuità patrimoniale quasi feudale, come a voler proteggere un passaggio di consegne intoccabile. Chi lavora paga, eccome, ma chi eredita è chiamato a una simbolica compartecipazione. Tanto basta, con una franchigia di 1 milione di euro per i parenti in linea retta e aliquote irrisorie, per mandare un segnale inequivocabile: accumulare e trasmettere è un privilegio da proteggere, da non intaccare. E se questo significa sacrificare chi vive solo del proprio stipendio, allora pazienza.
Serve un’aliquota progressiva o abbassare le franchigie
Il quadro delineato dagli autori racconta una pressione fiscale che si abbatte pesantemente sulla cosiddetta classe media, in particolare tra i 40 e i 70 mila euro di reddito, mentre i grandi patrimoni rimangono spettatori privilegiati, composti e immobili. La proposta di Leonardi e Rizzo non è una rivoluzione, ma un’idea di equità sostenibile: mantenere le franchigie attuali e applicare una tassazione progressiva sopra una soglia di ragionevole benessere permetterebbe di arrivare a quei 3,5 miliardi. Più radicalmente, abbassare le franchigie a 350 mila euro per i parenti diretti e 60 mila per i collaterali porterebbe addirittura a un gettito di 10 miliardi. Eppure, per un’Italia timida con le eredità e dura con il lavoro, anche queste proposte sembrano lontane come una chimera.
Il sogno di un Paese che si fa custode del merito e non del privilegio
Non è solo questione di economia, è una questione culturale. In un Paese dove chi eredita riceve quasi senza pagare e chi lavora paga quasi senza ricevere, il futuro sembra legato più alla fortuna di nascita che alla fatica dell’impresa. L’idea di tassare le successioni non è una punizione, ma un atto di bilanciamento; non è un’impopolare doppia imposizione, ma una misura che potrebbe consentire di costruire, finalmente, una parità fiscale per chi vive di stipendio e non di rendita. Forse in un’Italia moderna questo dovrebbe essere un diritto, e non una chimera da rincorrere. Sarebbe il sogno di un Paese che si fa custode del merito e non del privilegio. Ma oggi, ancora una volta, la bilancia è truccata: chi lavora si affanna, e chi eredita passeggia sulle orme di una fortuna pregressa, quasi a confermare che in Italia non conta cosa fai, ma dove nasci.
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