Il caso del 77enne che a Cagliari ha ammazzato la moglie di 59 anni che rientrava tardi la sera finirà nel dimenticatoio. Non è una vicenda “golosa” come quella di Giulia Tramontano, non stuzzica lotte al patriarcato come con Giulia Cecchettin. E così senza sensazionalizzazione perdiamo il focus su un fenomeno ormai strutturale.
Luciano Ellies ha 77 anni. È un dato da tenere a mente perché a quell’età la preponderanza del testosterone è una favola da filmetti sui bagnini che non invecchiano mai. Dicono che vivesse da separato in casa con la moglie Ignazia Tumatis che di anni ne aveva 59. Aveva, al passato, perché 10 volte una punta di coltello l’ha trafitta mentre rientrava a casa, a Cagliari, in via Podgora. La mano sul coltello è quella del marito separato in casa Luciano che contestava l’orario di rientro della donna che evidentemente considerava abbastanza sua da gestire nelle entrate e nelle uscite.
Niente scusa del raptus per umanizzare gli assassini
Luciano Ellies ha telefonato alle figlie. «Ho ucciso la mamma», sono state le sue parole. Dice che lei durante la discussione le ha «riso in faccia» e lui non ci ha visto più. Ho forse ci ha visto benissimo, a dire la verità, perché una decina di fendenti non sono un raptus. Anzi, a ben vedere il raptus è psico-magia che piace a certi commentatori per umanizzare gli assassini e a certi avvocati per imboccare il famoso sentiero del non in grado di intendere e di volere.
La guerra dei numeri e il conteggio che continua a salire
Secondo l’Osservatorio femminicidi di Repubblica Ignazia è la 33esima vittima di femminicidio del 2024, anche se nel frattempo il conteggio continua ad aggiornarsi, con il caso di Arezzo dove un 80enne ha spato alla moglie malata di Alzheimer. Per il pannello di femminicidio.info invece è la 19esima. Alcuni centri antiviolenza sottolineano come le donne ammazzate siano 48. Il ministero dell’Interno al 16 giugno, quando Ignazia era ancora viva, scriveva che «sono stati registrati 126 omicidi, con 43 vittime donne, di cui 38 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 21 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner».
Disputa semantica tra “emergenza” culturale e fenomeno strutturale
La disputa sui numeri però è un terreno fertile per le discussioni che guardano il dito lasciando perdere la luna. Barbara Spinelli su Treccani scriveva già a fine 2019 che «l’assenza di dati ufficiali ha facilitato i meccanismi di sensazionalizzazione del fenomeno, ingenerando l’indebita percezione che vi sia un aumento esponenziale di questo tipo di reati, quando invece, stando al dato numerico, non è possibile definirla “emergenza”, ma sarebbe semmai corretto parlare di emersione, agli occhi dell’opinione pubblica, di un fenomeno strutturale». In molti pensano invece che l’emergenza sia culturale e quindi pericolosa anche con una sola vittima.
Tramontano-Impagnatiello avevano gli ingredienti per attrarre il telespettatore
Il femminicidio non tira più. L’uccisione di Giulia Tramontano è golosa solo per la cronaca giudiziaria. Alessandro Impagnatiello è un buon soggetto per la narrazione del processo. Ombroso, immediatamente antipatico, bugiardo cronico, traditore: ha gli ingredienti per un thriller che si svolge in attesa del crollo del cattivo. Vederlo condannato regalerà il senso di rivalsa ai telespettatori. La gravidanza di Giulia Tramontano aggiunge quel pizzico di “Dio, patria e famiglia” che solletica i pro vita. Commemorare il feto è un’occasione imperdibile.
Giulia Cecchettin e la parola patriarcato che fa venire l’orticaria
Giulia Cecchettin è scomparsa dal sentire popolare, vittima per la seconda volta della polarizzazione politica buttata addosso a suo padre. Una frotta di maschi si ingegna per delegittimare lui auspicando di delegittimare lei e quindi di sopire qualsiasi accusa al patriarcato che in certi ambienti è una parola che rizza i peli come se fosse il vaccino, le auto elettriche, il cambiamento climatico, l’antifascismo.
La demonizzazione della sorella per la critica collettiva alla violenza di genere
A Elena Cecchettin, sorella di Giulia, è andata perfino peggio. Secoli dopo è stata impalata come strega perché si è concesso il lusso di non volere stare “al suo posto”. Le hanno messo il microfono sotto il naso per farle recitare la parte della prefica e lei invece si è permessa di usare la morte della sorella per proporre una chiave di critica collettiva sulle violenze di genere. Hanno tirato fuori il satanismo per farla bruciare. Come secoli fa, appunto.
Per indignarci ci serve il topos dell’italiano medio o della coppia perfetta
Di femminicidio si tornerà a parlare quando i protagonisti saranno troppo simili al topos dell’italiano medio per essere gettati nel bidone delle storie periferiche. Quando lei sarà giovane, studiosa o lavoratrice perfetta, quando lui sarà un bravo ragazzo senza grilli nella testa, quando le famiglie di entrambi saranno modelli di convenuta borghesia. A Ignazia – come quasi tutte le altre – andrà male. Uscire di sera a 59 anni con il marito a casa ad aspettarla è roba che non si fa. Quindi questa volta non c’è sesso, non c’è testosterone utile a piallare la morte di lei, ma rimane in campo un altro potente silenziatore: il rispetto che comunque si deve al proprio marito. Vedrete.
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