Forse sarebbe il caso di dirci, di appuntarlo da qualche parte, che al di là delle preferenze politiche di ciascuno non è normale e non è una buona notizia che il governo Draghi abbia usato per 50 volte il voto di fiducia in soli 15 mesi. Mario Draghi è ricorso alla fiducia per l’ultima volta lo scorso mercoledì (due volte, sul dl Ucraina bis alla Camera e sul dl Riaperture al Senato) e si appresta a utilizzare il 51esimo voto di fiducia sul ddl Concorrenza. Siamo, per dire, a livello del governo Monti (che usò 51 fiduce però in 17 mesi, due mesi in più dell’attuale esecutivo), e forse ricorderete lo sdegno generale su televisioni e giornali quando il governo Renzi usò il voto di fiducia per 66 volte o quando Berlusconi ricorse al voto di fiducia per 45 volte (ma in tre anni e cinque mesi).
Un governo ostaggio di se stesso
Ciò che stupisce è questa abitudine di usare il Parlamento come mero luogo di ratifica delle decisioni nonostante Draghi possa godere, di fatto, di una maggioranza quasi bulgara nelle Camere (o, se preferite, russa) con un solo partito all’opposizione (Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni) che ha dimostrato più volte la propria morbidezza. Il tema è squisitamente politico: temere il Parlamento con un maggioranza così ampia significa guidare un governo il cui filo rosso è quello di perdere la poltrona. Significa avere un governo che finge di esistere sui giornali e nelle dichiarazioni (di dubbio o di contrarietà) ma che alla prova dei fatti rimane ostaggio di se stesso e della sua smania di autopreservazione.
Draghi, più amministratore delegato che riferimento politico
Qui non si tratta di dipingere Mario Draghi come lo sporco e cattivo che abusa del suo potere. Draghi fa il Draghi, dirige il governo secondo la sua formazione e inclinazione (più da amministratore delegato che da riferimento politico) e legittimamente ricorre alle forzature perché funzionano. A uscirne scornati sono i partiti che si agitano fuori dal Parlamento per sembrare vivi e vitali, ognuno rincorrendo i propri distinguo, mentre silenziosamente si allineano agli eventi senza mai prendersi la responsabilità di compiere un decimo di quello che promettono. Si passa dal Movimento 5 stelle che si dice “fuori” dal governo un giorno sì e l’altro pure mentre i suoi ministri silenziosamente alzano la manina in Consiglio dei ministri, si passa al solito Matteo Salvini che tuona e minaccia per mantenere il profilo dell’oppositore interno fino al Partito Democratico che ventila un’alleanza progressista che sembra esistere solo nei desiderata.
Partiti rarefatti che sognano una nuova emergenza
Comunque la si pensi questo governo Draghi rimarrà nella memoria non tanto per le mirabili gesta del suo presidente del Consiglio ma per la rarefazione dei suoi partiti. Non è un caso infatti che molti di loro sognino un’emergenza, un’emergenza qualsiasi, per tornare presto a questi bei governi tecnici di unità nazionale che non li costringano a fare i partiti.
L’articolo Il governo Draghi ostaggio di se stesso e la rarefazione dei partiti proviene da Tag43.it.