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Salvini e Meloni – quelli che avrebbero dovuto prendersi tutto – hanno perso Verona, Parma, Lodi, Piacenza, Catanzaro, Alessandria e Monza. Solo per citare i comuni più importanti, quelli che possono indicare una tendenza.
Altro che Governo più forte. Draghi è sempre più in bilico
Verona è un caso mostruoso, la città veneta per anni è stata il simbolo della persuasione di una cultura destrorsa, xenofoba, patriarcale e violenta che ha impunemente professato valori incompatibili con la Costituzione. Damiano Tommasi ha messo in pratica una campagna elettorale costruita sulle proposte, senza cedere mai allo sberleffo e alla bile, e godendo della popolarità della sua carriera nel mondo del calcio in cui si è sempre distinto per serietà e correttezza.
Nonostante ogni elezione (soprattutto per le amministrative) abbia dei numeri che vengono usati e abusati il centrodestra in queste elezioni ha ottenuto molto meno del previsto e il centrosinistra a guida del Partito Democratico ha messo a segno una tornata che non speravano nel meno i più ottimisti. Ci sono molte buone notizie nei risultati di queste elezioni amministrative per chi teme Meloni e Salvini al governo ma è difficile non ricordare “la gioia macchina da guerra” del centrosinistra che poi si rivelò un’armata Brancaleone alle elezioni politiche del 1994.
Dice qualcuno, Di Maio in primis, che i risultati delle amministrative rafforzano il governo Draghi. Ci vuole davvero molta fantasia e molto coraggio, quel coraggio che profuma dell’impunità dei millantatori. Proviamo a vedere. Il primo partito in Parlamento che sostiene Mario Draghi, la Lega di Salvini, è nel mezzo di una crisi di cui non si intravede la via d’uscita. Si capisce che faccia comodo a molti fingere di non governare con Salvini ma la realtà è lì, granitica, da osservare.
Oggi il primo sostenitore del governo dei migliori guida un partito che in molte sue parti non lo segue più, con i suoi dirigenti che non vedono l’ora di impallinarlo e che rimangono in vigile attesa solo per il terrore di perdere lo scranno al prossimo giro.
Salvini è l’asticella impazzita di un centrodestra in cui Giorgia Meloni sta correndo per conto suo, consapevole di avere tra le mani un’occasione che non le ricapiterà mai più, e un Silvio Berlusconi che funge da tappo in una forza Italia che è un ritrovo di scalpitanti parlamentari pronti ad accasarsi al prossimo miglior offerente.
Il secondo gruppo del Parlamento, il Movimento 5 Stelle, si agita confuso mentre prende coscienza dell’ultima consistente scissione. Giuseppe Conte – che ne ha sbagliate parecchie da capo del partito – tenta di rimettere in piedi un progetto che nemmeno Beppe Grillo sembra più difendere a spada tratta. Non è improbabile che il M5S come colpo di coda prima di presentarsi alle prossime elezioni politiche possa pensare di togliere la fiducia al governo.
Immaginare il governo dei migliori rafforzato con i suo primi due gruppi parlamentari messi così è davvero sconnesso dalla realtà. Ci sono, è vero, i fervidi sostenitori di Draghi fuori dal parlamento (o comunque con un nugolo di parlamentari): Renzi e Calenda.
I due hanno collezionato risultati minimi quando si sono presentati con il logo dei loro partiti oppure si sono confusi – come amano fare – nel mare largo delle coalizioni, quando non hanno addirittura sostenuto candidati sindaci di destra. La chiamano meritocrazia ma finora sembra una mediocrazia: una mediocrità generale al potere.
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